Inizia, questo Dark Crimes, in arrivo nelle nostre sale due anni dopo la sua presentazione al Festival di Varsavia, dai presupposti più canonici del genere noir: un omicidio irrisolto, un detective "parcheggiato" in un lavoro d'ufficio dopo un caso molto controverso, nuove rivelazioni che portano alla luce torbidi segreti.
Sullo sfondo, una cupissima e fredda Cracovia, un passato di violenze, orrori indicibili, complotti e bugie; e al centro di questa parabola disturbante, Tadek, interpretato da un inedito e glaciale Jim Carrey, alle prese con un ruolo difficile e spigoloso, di quelli che gli fanno mettere in mostra i muscoli di attore drammatico. I muscoli (metaforici) ci sono; il film un po' meno.
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Morte a Cracovia
Follow up di Miss Violence, opera che aveva colpito duro qualche anno fa alla Mostra del Cinema di Venezia, questo Dark Crimes porta il regista greco Alexandros Avranas in Polonia, conquistato, insieme allo sceneggiatore Jeremy Brock, dall'inchiesta giornalistica firmata da David Grann e pubblicata dal New Yorker nel 2008. Lo script di Brock ricalca buona parte degli elementi di quel caso misterioso, di quell'omicidio feroce e incomprensibile, e di quei retroscena raccapriccianti; peccato che la fredda eleganza e il minimalismo della messa in scena di Avranas, in questo caso, si rivelano inadatte a instillare vita a questo racconto, al punto che, laddove la prova di Grann era avvincente e conturbante, questa controparte cinematografica è tediosa, inerte, quasi insostenibile.
La confusione della scenaggiatura si deve alla scelta di pescare suggestioni ed elementi dal lungo scritto di Gann e metterli a galleggiare, disarticolati, sterili, in un brodo rosso sangue, ma del tutto insipido. Gli ambienti tetri, polverosi e mal fotograti restituiscono la eco di dialoghi di cui preferiamo non cercare il senso, e immagini estenuanti di violenze e abusi sulle donne, che senso non ne hanno. Le interpretazioni non risollevano il film dalla sua sconcertante inerzia: Marton Csokas ha un volto interessante, ma si sforza vanamente di fare gli occhi cattivi e di dare spessore e ambiguità a un personaggio davvero imbarazzante; Charlotte Gainsbourg ripropone il solito ruolo estremo che potrebbe gestire col pilota automatico fino a un parossismo sfiancante.
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Tempi duri per un attore di razza?
Jim Carrey, da parte sua, affronta con diligenza questa prova bizzarra e questo territorio così inospitale, ma nonostante i suoi sforzi a lungo andare riesce difficile distinguere il suo talento tra i marosi del naufragio, e vedere un attore tanto bravo e certamente non privo di star power in una situazione come questa è quasi più deprimente del film. Carrey, genio conclamato della comicità che ci ha regalato le sue interpretazioni più preziose in film sul limine del dramma (The Truman Show e Se mi lasci ti cancello), ha vissuto e sta vivendo anni molto difficili sia dal punto di vista personale che da quello creativo, ma lo sforzo che dobbiamo fare per immaginare cosa l'abbia attratto di questo progetto instilla in noi un dubbio inquietante: e se fosse perché non gliele sono stati offerti altri? Fortunatamente vedremo presto Jim nella nuova serie Kidding, che sembra decisamente nelle sue corde. La redenzione è dietro l'angolo.
Movieplayer.it
1.5/5