Daniele Segre racconta la Resistenza delle donne partigiane

Il sessantaquattrenne regista piemontese ha incontrato la stampa al Festival di Torino per presentare il suo documentario dedicato al fondamentale ruolo delle donne nella Resistenza, da sempre ampiamente sottostimato.

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Impegnato fin dagli anni Settanta in documentari caratterizzati da importanti e forti tematiche storico-sociali, Daniele Segre nel suo ultimo lavoro Nome di battaglia Donna ha intervistato diverse ex partigiane al fine di metterne in luce racconti ed esperienze personali. Come ha affermato in maniera sintetica ed efficace la vicepresidente dell'ANPI piemontese Maria Grazia Sestero, anche lei presente alla conferenza stampa, ci sono state perlomeno due modalità di intervento attraverso cui le partigiane hanno fornito un essenziale contributo alla causa della Resistenza: "Le cosiddette staffette delle partigiane hanno rappresentato un fondamentale collegamento tra i dipartimenti, i distaccamenti e le brigate e operavano in condizioni di solitudine e notevole difficoltà, in quanto si muovevano attraverso le occupazioni, i nazisti, i posti di blocco e i fascisti che si trovavano nei paesi. L'organizzazione femminile denominata 'Gruppi di difesa della donna' ha invece tenuto vivi i rapporti con la popolazione: senza la condivisione dei valori e delle azioni militari della Resistenza sarebbe stato difficile ottenere i risultati che si sono raggiunti".

Il progetto del documentario è partito proprio da una proposta dell'ANPI e Segre ha subito accettato l'offerta con grande convinzione: "La mia famiglia ebrea è stata salvata dai contadini delle Langhe. È la rete partigiana ad avermi permesso di essere qui presente oggi. Avevo quindi questo grande debito di riconoscenza. Per me era in qualche modo un obbligo morale fare questo film".
Nel corso di un breve ma intenso e interessante incontro con la stampa, svoltosi come sempre accade al Festival di Torino in un clima cordiale e informale, abbiamo avuto occasione di approfondire con il regista piemontese diversi aspetti del suo ultimo lavoro.

Donne e Resistenza

Il documentario conferisce il maggiore spazio possibile ai racconti, alle parole e ai volti (sempre ripresi in primo piano) delle ex partigiane, evitando ogni tipo di retorica.

Nome di battaglia Donna: un'immagine tratta dal documentario
Nome di battaglia Donna: un'immagine tratta dal documentario

Quello che volevo fare a tutti i costi era proprio evitare il didascalismo e l'enfasi retorica, che avrebbero inevitabilmente allontano lo spettatore. Il film vuole restituire la dignità a queste donne che si sono impegnate e si sono sacrificate molto. Torino è piena di lapidi di donne che hanno sacrificato la loro vita per la nostra libertà. La volontà di evitare la retorica è valsa anche per le immagini di contorno che accompagnano il film, che ho immaginato come potenziali soggettive delle partigiane o dei partigiani che si trovavano al mattino tra le nebbie di varie località piemontesi. Questo al fine di creare un rapporto di reciprocità e immedesimazione con quanto viene narrato dalle donne intervistate. Sono tanti anni che faccio il regista e il mio desiderio fondamentale è da sempre quello di permettere allo spettatore di pensarla come gli pare, non come la pensa il regista. Io mi limito ad offrire degli spunti di navigazione, anche problematici in diversi casi. Lo stesso è valso per questo film, con in più la soddisfazione di aver portato un mio contributo a una storia che mi appartiene per tanti motivi.

Il contributo delle donne alla Resistenza, non solo quella piemontese di cui il suo lavoro più nello specifico si occupa, è sempre stato poco considerato...

Nome di battaglia Donna: un'immagine del documentario italiano
Nome di battaglia Donna: un'immagine del documentario italiano

Nel fare le ricerche per il film, ho appreso con grande stupore che persino la letteratura partigiana si è occupata pochissimo del ruolo femminile e ciò mi ha veramente colpito e stupito. Mi è sembrato così doveroso fare qualcosa al riguardo. Si è trattato in qualche modo anche di una corsa contro il tempo, per via dell'età avanzata delle protagoniste. Questa urgenza che sentivo e sento sarebbe da sviluppare e proseguire anche nel resto d'Italia, perché è stata tutta l'Italia a insorgere. In Emilia Romagna e anche in altre realtà italiane il contributo delle donne è stato straordinario. Non a caso il film inizia con l'ex partigiana Marisa Ombra che ricorda il ritrovamento di un corpo di una donna trucidata in modo barbaro e vigliacco proprio in Emilia Romagna.

L'importanza di mantenere viva la memoria storica

Qual è il principale obiettivo che si è posto con questo suo ultimo lavoro dietro la macchina da presa?

Nome di battaglia Donna: un'immagine del documentario di Segre
Nome di battaglia Donna: un'immagine del documentario di Segre

In un tempo di revisionismi drammatici e anche molto volgari, ritengo fondamentale tenere alta la vigilanza nei confronti di chi mette in discussione i valori della Resistenza. Questa è una cosa che deve essere assolutamente combattuta sul piano culturale, fornendo degli strumenti attivi per permette ai giovani di confrontarsi con la storia del nostro paese. Io mi considero fortunato ad essere cresciuto in libertà in un contesto democratico. Si tratta però di una conquista arrivata dopo una lotta molto faticosa, che ci ha permesso di approdare alle nostre odierne condizioni di vita. L'obiettivo è in qualche modo quello di riprendere a zappare la terra affinché possano spuntare dei nuovi germogli, sani e consapevoli della storia che ci appartiene. Questo è un cinema che ha in primis l'ambizione dell'utilità, di farsi strumento educativo e di chiarimento.