Van Diemen's Land ci trascina negli abissi più cupi che l'uomo possa immaginare e non ci offre riparo dall'iperrealismo primordiale e truculento cui i bravissimi attori si prestano con un'interpretazione che svela spazi ombrosi che tolgono il respiro, profondi spiragli d'emotività.
Esordio alla regia dell'attore australiano Jonathan auf der Heide, Van Diemen's Land è un film nero come la pece: dura e atroce come un dolore fisico, quest'opera è perfettamente congegnata e di certo non destinata all'oblio. La storia, ispirata a eventi realmente accaduti in Tasmania, dove la vicenda del prigioniero irlandese Alexander Pearce è nota ai più, ci viene consegnata dal regista scevra di filtri _politically correct _e di formalismi linguistici, pura nella sua crudeltà e dura nella sua verità. Intensa e commovente, questa pellicola australiana va' dritta allo sguardo e allo stomaco dello spettatore sensibile: il suo sviluppo narrativo è viscerale e il suo impatto visivo quasi devastante.
Van Diemen's Land, l'attuale Tasmania, è una colonia penitenziaria britannica che ospita derelitti irlandesi, scozzesi e inglesi che devono scontare la loro pena. Costretti a duri lavori manuali e a pasti miserevoli, un giorno otto prigionieri, stanchi di quella vita di stenti, decidono di scappare e attraversano, guidati dal "capitano" Robert, la desolata e infinita distesa della foresta. Ma non sanno ancora quello che li aspetta.
Heide sembra strutturare una filosofia immediata di forte presa e di urgente riflessione: il suo film è mosso da elementi come la religione, l'identità individuale e collettiva e l'appartenenza geografica, che disegnano una mappa concettuale mai delimitata dall'immagine, ma che trova una protesi eccezionale nella bellissima tela fotografica che esalta una natura incontaminata in cui lo sguardo si abbandona. L'istinto di sopravvivenza dei protagonisti corrompe la loro umanità e si tramuta in una blasfema religiosità pur di non sopraffare all'orrore corrosivo della fame e al dolore della carne. La ferocia morbosa e sarcastica prende il posto della tenerezza e dei sentimenti mentre il corpo si scarnifica al gelo di una foresta immensa dimenticata da Dio e dagli uomini. Il cuore si rabbuia sotto le tenebre di una bestialità animalesca e i "vampiri" cannibali si nutrono dei loro stessi simili di fronte allo spettro pre-potente della morte. Gli istinti inghiottono la loro umanità mentre i loro animi s'inselvatichiscono tra le ombre di alberi che sfiorano un cielo distante e hanno le loro radici salde negli inferi. Uomini degenerati si prestano alla loro follia, al freddo silenzio dei loro gesti disumani. Van Diemen's Land ci trascina negli abissi più cupi che l'uomo possa immaginare nei peggiori incubi e non ci offre riparo dall'iperrealismo primordiale e truculento cui i bravissimi attori si prestano con un'interpretazione che svela, negli angoli metafisici del racconto, spazi ombrosi che tolgono il respiro, profondi spiragli d'emotività.