La sua Luisa De Filippo in Qui rido io le è valsa quest'anno la prima nomination al David di Donatello, nel frattempo è volata in America per girare il biopic su Francesca Saverio Cabrini (la prima cittadina americana a diventare santa ad opera di Papa Pio XII nel 1946), si è prestata alle atmosfere horror di Piove ed è approdata sul set dell'ultimo film di Sydney Sibilia, Mixed by Erry, dove racconta di essersi "divertita tantissimo". Un anno esplosivo per Cristiana Dell'Anna, che in molti ricorderanno per il ruolo che le ha regalato il successo, quello di Patrizia in Gomorra, senza però dimenticare i suoi esordi in Un posto al sole. Al Bct (Festival del Cinema e della Televisione in programma a Benevento dal 12 al 17 luglio), dove nei giorni scorsi è stata ospite di un incontro con il pubblico, racconta il suo cinema, la napoletanità, le sue due anime: una profondamente partenopea e l'altra british, la stessa che a venti anni l'ha portata a Londra a studiare William Shakespeare.
Fra Shakespeare e Gomorra
Il cinema italiano si è fermato a Napoli, finalmente...
Napoli è piena di talento, di forza vitale e di reazione sociale. In un momento come questo con una crisi di governo in corso e in un paese sempre in bilico, credo che la risposta culturale di Napoli sia sempre arrivata puntuale, è una città che ha risposto ai cambiamenti sociali e ai momenti di difficoltà con una voce abbastanza risonante. Era soltanto questione di tempo prima che il cinema si fermasse un po' qua.
Stiamo assistendo a una vera e propria rinascita artistica e culturale della città.
Devo tanto a quel prodotto e credo che abbia fatto molto nel discorso del cinema a Napoli, aprendo molte porte. Gomorra è l'espressione di questa reazione, è il voler gettare luce su situazioni difficili del nostro paese dando voce agli angoli più bui. Si è sparsa luce ovunque e allora nascono storie come Qui rido io, le produzioni a Napoli sono ormai tantissime, ci sono camion e set ovunque.
Sei napoletana, ti sei formata a Londra dove hai abitato per cinque anni e poi sei rientrata a Napoli per sostenere il provino di Un posto al sole. Londra e Napoli, due realtà molto distanti tra loro: come le hai conciliate e cosa ti hanno lasciato?
L'evoluzione non è la purezza, ma è lo scambio, sono le sporcature. Si mischiano i geni, le culture, le idee e se ne creano di nuove e più forti. È così quindi che due città tanto lontane sono riuscite a trovare spazio nel mio modo di essere. Ti faccio un esempio stupido: adesso bevo meno caffè, che è un'abitudine del tutto napoletana, e molto più tè, però so apprezzare quella tazzina di caffè, come forse nessun napoletano saprà mai fare. È come se a un certo punto tante cose diverse trovassero il modo di legarsi, tutte queste differenze mi hanno resa e continuano a rendermi ancora oggi una persona molto forte.
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Il David per Qui rido io e il biopic sulla santa Cabrini
Qui rido io, ti ho dato la prima nomination al David, per la tua interpretazione di Luisa De Filippo. Come l'hai affrontata, quanta responsabilità ti sentivi addosso?
La responsabilità era enorme, però se ti lasci spaventare non ha più senso. Ho affrontato questo ruolo come tutte le sfide, ho scoperto tardi nella vita di essere estremamente competitiva, quindi più il personaggio è difficile, più mi lancio. Ho avuto lo spazio giusto per crearlo, non ci sono tantissime testimonianze su di lei, quindi è stato un connubio di tre cose: le testimonianze dirette che ho potuto raccogliere e che mi ha anche imboccato Mario quando non sapevo dove cercare, avendo scritto il film era un conoscitore imbattibile dell'argomento; la napoletanità che è una sorta di filo conduttore (le donne napoletane, la cultura napoletana e tutto quello che rappresentano); e il mio immaginario di interprete. Qualche volta ho attinto ad esempio ai ricordi di bambina che ho della mia nonna, che più di mia madre ovviamente si avvicina a quei discorsi, a quell'epoca, a quel modo di pensare e di affrontare la vita. E poi la magia del set.
Il personaggio di Luisa De Filippo arriva dopo quello di Patrizia in Gomorra. In quel caso a cosa hai fatto appello?
È stato un grido, qualcosa che avevo bisogno di urlare da tanto tempo. I personaggi sono già tutti dentro di te, hai solo la necessità di tirarli fuori a un certo punto, almeno per me è così. Luisa ce l'avevo dentro già da tanto tempo, mi serviva soltanto il narratore adatto per poterla interpretare, noi donne ci somigliamo un po' tutte. Per Patrizia invece si è trattato di un grido, avevo davvero bisogno di dire cose che forse avevo visto anch'io da ragazzina o semplicemente volevo buttare fuori tutte le ingiustizie alle quali mi sembrava di assistere. È il clima nel quale cresci e anche se non ti tocca direttamente, lo vivi, lo capisci, lo percepisci e ti tocca. È stato l'insieme di tutte queste cose, Patrizia per me era una necessità.
Nel biopic di Alejandro Monteverde porterai sullo schermo la vita di Francesca Saverio Cabrini, la religiosa che papa Pio XII proclamò "patrona degli emigranti" nel 1946. Questa volta sarai una santa...
Mi hanno chiamata loro perché pensavano fossi adatta al ruolo, e poi il regista mi ha scelta. In realtà non ho dovuto fare granché, credo che loro fossero abbastanza convinti fin dall'inizio. Sapevo qualcosa della storia di Cabrini, ma non tantissimo, mi sembra di ricordare che Saviano ne parla nel libro "Gridalo" e le dedica diverse pagine per raccontare la forza di una donna che era una combattente per i diritti e la parità. Ed è molto attuale: si parla di migranti e della difficoltà dello straniero in una terra come quella americana che offre l'illusione del sogno, quando poi in realtà è una fatica continua. Sono pochissimi quelli che riescono a realizzare il sogno americano.
Che cosa ti ha lasciato?
Ogni ruolo ti lascia qualcosa e ti permettere di scoprire un pezzettino in più di te. Con lei ad esempio ho scoperto una cosa che devo molto anche a mio marito: nel film ritorna spesso una citazione di Francesca, che diceva "cominciamo" a fare le cose, non c'è bisogno di dover prima raccogliere i fondi e avere tutto a disposizione per fare del bene, il bene si fa poi i mezzi vengono. Sicuramente sono stata così nella vita, ma vederlo in lei mi ha portato a un certo punto della vita a non ragionare più così, a non farmi più prendere dal timore, forse tutto femminile, di non essere mai abbastanza pronta o di aver bisogno di una conferma in più prima di gettarsi in una missione. Questa donna mi ha ricordato cosa significa lanciarsi, come avevo fatto da ragazza dicendo di no a mio padre, a un tipo di società e di ideale borghese che ho rifiutato per inseguire quello che credevo e che sapevo essere la mia passione, il mio sogno. L'avevo un po' perso nel corso del tempo e lei me lo ha ricordato.