Derek Haas, nonostante provenga dal mondo del cinema (roba con le macchine come 2 Fast 2 Furios e Overdrive), è uno di quei nomi che ha fatto le fortune dell'ultima versione di quella dimensione televisiva statunitense legata al broadcasting (trama verticale e orizzontale) nata a metà anni '80, pochissimo prima del filone più autoriale, e che giocava con il genere. Soprattutto quello poliziesco ambientato nelle aree urbane, paesaggi all'interno dei quali trovava il western e l'action.

La sua ultima creatura è Countdown, disponibile dal 25 giugno su Prime Video con i primi tre episodi (gli altri dieci arriveranno a cadenza settimanale). Un titolo che in realtà punta a posizionarsi a metà della sua produzione, partendo dal piccolo schermo di grande consumo e quindi tradizionale, ma cercando una reinvenzione linguistica in ottica moderna e, all'occorrenza, cinematografica.
Una strada che percorre grazie all'approfondimento dei personaggi, chiavi di letture ormai conclamate in tutti gli sceneggiati contemporanei (specialmente seriali perché di stampo prettamente nordamericano) per aprire all'analisi di tematiche di tipo sociale e politico e, cosa sempre scontata, ma che questo titolo fa bene, portatori di archetipi narrativi utili a potenziare il senso della vicenda.
Countdown: un'altra sfida contro il tempo

La Homeland Security è una delle mille agenzie che esistono negli USA per combattere le minacce nazionali. In questo parliamo di un organismo che ha un mandato di protezione legato non solo al territorio, ma anche quasi al suo spirito. Quelli che si occupano oggi del terrorismo dei Paesi confinanti. Countdown inizia dall'esecuzione in pieno giorno, a LA, di uno dei pezzi da novanta di questo corpo, tale Bon Darden (interpretato da Milo Ventimiglia).
Casus belli che porta alla creazione della classica super task force federale composta da tutta una serie di eccellenze provenienti dalle mille agenzie e dipartimenti di cui sopra, come se si volessero riunire tutte a rappresentanza dell'efficienza statunitense. A capeggiarla c'è l'eminenza grigia Nathan Blythe (Eric Dane), nelle retrovie ci sono i "cervelloni", ma in prima linea ci sono i cowboy. Nella fattispecie di agenti sotto copertura Meachum (Jensen Ackles) e Olivera (Jessica Camacho), provenienti da estrazioni culturali e sociali differenti, ma pronti a fare team up e salvare il mondo.

Il mondo, che, dal punto di vista di nordamericano, sono ovviamente gli Stati Uniti, all'interno dei quali si trovano tutte le nazionalità che contano con le proprie tensioni, le proprie regole, i propri interessi e i propri segreti. In questo calderone dovrà muoversi la squadra speciale, cercando di trovare il bandolo della matassa dietro alla grande cospirazione e non solo salvare il mondo, ma se possibile redimerlo. E magari farlo prima che il tempo scada.
Una serie limitata da se stessa

La base di Countdown è, tutto sommato, quella classica dello sceneggiato televisivo made in USA del secolo scorso con qualche rimaneggiamento da anni '10. C'è l'omicidio traumatico che innesca la storia, il reclutamento della squadra di eccellenze, il capo oscuro, ma carismatico, l'antieroe che però in realtà è un senza macchia e senza paura, la protagonista forte e un sacco di crime come fumo negli occhi per condire la parte action e la solita cospirazione da fine del mondo (come il titolo un po' richiama).
Nulla di speciale, ma una ricetta dalla quale si può partire per creare delle buone variazioni. In questo caso lo si fa lavorando con le relazioni tra i protagonisti, che nonostante partano come delle maschere, trovano una loro compiutezza, specialmente (e questo è ottimo) allo sviluppo della storia. Tutto viene esaltato da una buona chimica, soprattutto tra Jensen Ackles (ormai un buon frontman) e Eric Dane. Il resto lo fa la messa in scena, che, nonostante i Metallica e i Tool e la fotografia ocra, riesce a dare un senso linguisticamente più elevato al titolo rispetto all'universo nel quale affondano le proprie radici.

L'estetica, la struttura e i personaggi sono dunque i punti di forza di Countdown, che la rendono riconoscibile, ma comunque intrattenente (soprattutto per gli amanti del genere). I problemi sono le criticità connaturate alle piccole variazioni di registro, che fanno capire come il titolo di Haas abbia difficoltà a scorrazzare al di fuori del terreno più battuto e dunque accusi comunque una limitatezza dal punto di vista del raggio d'azione. Forse anche perché incatenato ad una "mole" di lavoro non indifferente a cui è chiamato per riuscire a sbrogliare la matassa narrativa.
Conclusioni
Countdown è una serie che cerca di utilizzare tutti gli strumenti che il genere gli mette a disposizione per rielaborare l'immaginario classico da cui proviene, trovando qualche buona sponda soprattutto nell'approfondimento dei personaggi. Il titolo di Derek Haas risulta però ingabbiato in se stesso, non riuscendo a superare le limitazioni insite nella sua stessa struttura e quindi ottenendo un successo a metà.
Perché ci piace
- I personaggi sono ben scritti e interpretati.
- Gli archetipi e le regole del genere sono utilizzati in modo sufficiente.
- La parte action è di buona fattura.
Cosa non va
- Rimane in parte ancorato ad un immaginario datato.
- Sembra essere un po' schiacciato dalla struttura narrativa.