Recensione Crime d'amour (2010)

E' un film cupo e senza speranza Crime d'amour, testamento artistico di Alain Corneau, scomparso il 30 agosto scorso; il racconto procede lento su un'ineludibile catastrofe di avvenimenti fino allo sconvolgente epilogo, mostrando in maniera mirabile la sadica trasformazione di un rapporto di apparente amicizia tra due donne manager in un qualcosa di completamente opposto, che per forza di cose rende necessaria (anche) l'eliminazione fisica dell'altro.

Con le peggiori intenzioni

Christine è la manager di una multinazionale agroalimentare che vive un rapporto ambiguo con la sua assistente Isabelle. Da un lato sembra apprezzarne le grandi capacità e l'inventiva, dall'altro le ruba le idee per farsi bella agli occhi dei capi americani. Isabelle risponde a questo primo affronto, intrecciando una relazione con Philippe, compagno della donna. Quella che sembrava una solida amicizia cambia lentamente in una guerra all'ultimo sangue, in cui la pedina apparentemente più debole sfodera armi degne di un raffinato criminale. Christine, infatti, viene assassinata e Isabelle rende una clamorosa confessione. Non si tratta del gesto di una colpevole che tenta di allegerirsi la coscienza, ma della posa del primo tassello di un puzzle complicatissimo, una vendetta raffinata e per niente scontata, che sovvertirà ogni pronostico.

E' un film cupo e senza speranza Crime d'amour, testamento artistico di Alain Corneau, regista francese (e compositore, come lui stesso amava autodefinirsi) tra i più apprezzati della sua generazione, scomparso il 30 agosto scorso fa dopo una lunga malattia. Crime d'amour, presentato fuori concorso al Festival Internazionale di Roma, è un film glaciale nei colori (prevale il grigio delle "divise" da manager e dei paesaggi, con pochissimi lampi di rosso, tutti presagio di nefasti avvenimenti, mentre i flashback di ricostruzione del delitto sono tutti in bianco e nero) e nei movimenti di macchina, ridotti all'osso, fermi sui primi piani delle protagoniste, le bravissime Ludivine Sagnier e Kristin Scott Thomas, donne senza cuore, prigioniere della loro lucida follia. Non ci sono colpi di scena sconvolgenti, anzi il racconto procede lento su un'ineludibile catastrofe di avvenimenti che vanno avanti senza sosta, fino allo sconvolgente epilogo (un coup de théâtre degno de I diabolici di Henri-Georges Clouzot). Un investigatore smaliziato avrebbe scoperto il castello di menzogne minuziosamente eretto da Isabelle per consumare la sua terribile vendetta, ma in questo caso la giustizia crolla sotto i colpi di una razionalissima pazzia.

L'opera di Corneau, scritta a quattro mani con Natalie Carter, riesce in maniera egregia a raccontare la dinamica vittima-carnefice, a narrare la sadica trasformazione di un rapporto di apparente amicizia (o meglio di fascinosa manipolazione della donna più potente sull'altra) in un qualcosa di completamente opposto, che per forza di cose rende necessaria (anche) l'eliminazione fisica dell'altro. I corpi, con i loro lenti movimenti, vengono accompagnati da una musica di ispirazione giapponese (una vecchia registrazione del sassofonista Pharoah Sanders intitolata Kazuko), che muta la scena in dramma kabuki.

La storia di Crime d'Amour parte dalla Francia, patria di libertà, uguaglianza e fratellanza, per finire a Washington, capitale della nazione che ha raccolto l'esempio degli "amici" transalpini per affermarsi come superpotenza economica, terra di multinazionali perfette, nei cui corridoi spesso si consuma la tragedia di identità umane negate e vilipese. Ma non c'è denuncia sociale nell'opera di Corneau, condensata perfettamente dalla frase pronunciata dal giudice "Gli esseri umani sono complicati". E' appunto la complessità dell'essere umano che interessava all'autore francese, quegli spazi bui che con la loro presenza cambiano le carte in tavola anche della persona più realizzata. Sarebbe bello se questo Festival Internazionale di Roma riuscisse nell'impresa di far trovare una distribuzione italiana ad un'opera potente nella sua semplicità. L'invito da parte di un vero autore a non chiudere gli occhi davanti alla mille sfaccettature dell'essere umano, davanti ai crimini più efferati. Costruiti gelidamente a tavolino, con impeccabili mise da manager, all'ombra di altissimi grattacieli.

Movieplayer.it

3.0/5