28 e 29 Aprile. Solo per due giorni arriva nelle sale italiane Kurt Cobain: Montage of Heck, il documentario definitivo su Kurt Cobain, iconico leader dei Nirvana, ultima vera grande rockstar di quest'epoca, morto sucida con un colpo di fucile in bocca ventuno anni fa a soli 27 anni. E vi consigliamo caldamente di non perderlo. Sia che siate fan sfegatati dei Nirvana o meno. Perché la figura di Cobain, al di là della passione, del fanatismo e dei gusti musicali, rimane un'icona esistenziale, un simulacro di disperazione e creatività, simbolo di una generazione smarrita alla ricerca di identità, e le sue canzoni suo malgrado sono state accolte, vissute e percepite come gli "inni di tutti i disfunzionali". E tali rimarranno in maniera imperitura. Indimenticabili e indimenticate come il suo autore.
I'm Kurt Cobain
Un film documentario unico nel suo genere, co-prodotto dalla rete via cavo HBO (che lo trasmetterà negli Sati Uniti il 4 Maggio) e soprattutto dalla figlia Frances Bean Cobain. Imprescindibile intanto perché è il primo e unico documentario completamente autorizzato e che attinge ad una smisurata quantità di materiale assolutamente inedito messo a disposizione dalla famiglia: video domestici, registrazioni audio, disegni, fotografie, stralci di appunti, pagine di diario stropicciate e scritte tra scarabocchi, poesie e testi abbozzati di quelle che poi diverranno le sue canzoni. Chicche di puro feticismo, soprattutto per i fan, con i filmini casalinghi e la voce di Kurt bambino che grida "I'm Kurt Cobain", il certificato di nascita in quel di Aberdeen a Washington, le prescrizioni del Retalin che il pediatra consigliò a mamma Wendy e papà Donald per gestirne la sua precoce iperattività, fino ai negativi della sua prima gastroscopia fatta per i lancinanti dolori allo stomaco che lo tormentarono per tutta la vita. Tra le ricerche nello sconfinato materiale audio emergono anche una versione acustica e struggente di And I Love Her dei Beatles nonché il brano inedito Rain Forest.
La vita in un film
Il film ripercorre la vita di Kurt appunto dalla sua infanzia, passando poi da una complicata adolescenza segnata dal divorzio dei genitori da cui per qualche motivo nascerà quel senso crescente di vergogna, rifiuto e umiliazione ("Odiava sentirsi umiliato") che lo segneranno per tutta la vita. Fino all'incontro sconvolgente con il punk rock, dove la rabbia che nasce dall'umiliazione stessa trova il suo sfogo: poi i Nirvana e il rapporto conflittuale con il successo, che bramava e rifuggiva allo stesso tempo. La figura fondamentale di Courtney Love, che costituisce il fulcro della vita dell'artista e in un certo senso del film stesso (è lei che ha contattato per prima il regista con l'idea del film), nella quale Kurt riversa il suo bisogno di affetto e di amore in fondo alla base della sua fragilit, quel desiderio mai sopito di avere una famiglia, coronato in un sogno di amore tossico e disperato nel quale rinchiudersi nascondendosi dal mondo esterno.
Il lavoro di Brett Morgen, apprezzato documentarista già candidato all'Oscar nel 2000 col bellissimo On the Ropes, va ben oltre l'agiografia e non è interessato alla celebrazione del mito: il risultato è qualcosa di straordinariamente intimo e incredibilmente autentico, un viaggio disturbante nella mente e negli incubi che svelano i demoni e la fragilità dell'uomo Cobain.
I hate myself I want to die
Il grunge non viene nominato neanche una volta, la musica dà corpo e vita ai pensieri della star la cui anima ci viene rivelata da lui stesso in prima persona. Le interviste e le testimonianze di familiari, amici e membri della band (fondamentali gli interventi di Krist Novoselic mentre è sintomatica la totale assenza di Dave Grohl, tra tutti quello più apertamente in conflitto con l'ingombrante presenza di Courtney Love) rappresentano solo il corollario di questo imponente lavoro: il nucleo, la parte più significativa, è proprio il racconto di Kurt Cobain che parla di se stesso in prima persona. Gli appunti, i disegni, gli stralci dei testi delle canzoni, prendono vita e si animano, insieme ai frammenti della sua voce (il titolo richiama un collage audio di parole e musica registrato da Cobain alla fine degli anni '80) ed è come se Kurt parlasse direttamente allo spettatore. I riflessi della sua mente si spiegano e vengono messi a fuoco anche attraverso l'uso dei cartoni animati disegnati da Stefan Nadelman e Hisko Ulsing, con un effetto che ricorda Pink Floyd The Wall dei Pink Floyd.
I deliri sono restituiti in maniera talmente reale sullo schermo da essere a tratti quasi insostenibili. Un brivido quando la sua voce esita dicendo ad un giornalista che "I hate myself I want to die" non è solo una metafora senza significato. Tanto spettacolare quanto intimo, nonostante ne restituisca il talento, la creatività e il virtuosismo, è un percorso doloroso paradossalmente anche e soprattutto per il fan più puro che non necessariamente potrebbe accettare incondizionatamente questo Cobain rivelato. Ma anche per questo, per essere così disturbante e per nulla condiscendente, Montage of heck è straordinario e imperdibile. E lontano dalle celebrazioni, così come dalle patinature e dal glamour degli odiati Guns 'n' Roses, ci fa scoprire o riscoprire perché Kurt Cobain, l'adolescente che si autodefinisce "un ragazzino immaturo che non scopava mai", con i suoi demoni e le sue fragilità irrisolte, è diventato il simbolo e la leggenda che il mondo conosce.
Movieplayer.it
4.5/5