Quando nel 2009, alla soglia dei trent'anni, interpretò il ruolo dell'hacker e detective Lisbeth Salander nella popolare trilogia di Millennium, Noomi Rapace si guadagnò una discreta notorietà internazionale. Da allora, per quanto abbia sempre lavorato a pieno ritmo, l'attrice svedese ha visto però la propria carriera congelarsi in un perenne typecasting: quello dell'eroina grintosa e tormentata che si sforza di reprimere un doloroso passato. Senza contare il fatto che, con la parziale eccezione di Prometheus, in questi ultimi decenni le sue scelte professionali non si sono rivelate particolarmente felici, né hanno mai dato vita a film memorabili. Non fa eccezione Close, ultimo film in ordine di tempo di cui la Rapace è protagonista, approdata direttamente sul servizio di streaming Netflix.
Noomi Rapace versione guardia del corpo
Ma il problema principale di Close, terza regia dell'inglese Vicky Jewson, non risiede in Noomi Rapace, al contrario piuttosto convincente, ma nello script firmato dalla regista con Rupert Whitaker: un copione fin troppo asservito ai cliché del filone di appartenenza e incapace di far assumere spessore e consistenza ai (pochissimi) personaggi in gioco. Close è ispirato alla figura di Jacquie Davis, bodyguard di lungo corso, ingaggiata per proteggere membri di famiglie reali e star dello show business (fra i suoi clienti Nicole Kidman, Diana Ross, Liza Minnelli e J.K. Rowling), nonché consulente per la realizzazione del film, con il quale evidentemente Netflix punta a sfruttare l'onda del successo della serie televisiva Bodyguard. La Rapace interpreta infatti la guardia del corpo Sam Carlson, che nel violento prologo viene mostrata mentre rischia la vita in Africa nel corso di uno scontro a fuoco.
Dopo i titoli di testa (sulle note di una cover di Running Up That Hill) scopriamo che il successivo incarico di Sam, la quale porta ancora sul volto i segni dell'ultima missione, consiste nel prendersi cura di Zoe Tanner (la Sophie Nélisse di Storia di una ladra di libri), giovane e viziatissima ereditiera - da poco rimasta orfana - di una famiglia di magnati dell'industria mineraria, il cui giro di affari ha il suo centro propulsore in Marocco. Assunta dall'inflessibile matrigna di Zoe, Rima Hassine (Indira Varma), con la garanzia che per una volta la figliastra non avrà la possibilità di sedurre il proprio bodyguard, Sam dovrà impiegare tutte le proprie capacità per impedire che Zoe cada vittima di un agguato, a dispetto delle misure di sicurezza ipertecnologiche di cui è fornita la sua safe house di Casablanca.
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Un thriller prevedibile e privo di spessore
Al di là delle scialbe caratterizzazioni, Close offre comunque qualche scintilla di tensione nelle sequenze del primo attentato alla vita di Zoe e della successiva fuga della ragazza e di Sam, costrette a infiltrarsi fra i vicoli di Casablanca per sfuggire a sicari che potrebbero celarsi dietro la facciata più insospettabile (per quanto lo scenario marocchino avrebbe potuto essere sfruttato in maniera più efficace per sottolineare il senso di smarrimento delle due protagoniste). Con il procedere della trama, però, tanto le svolte narrative quanto le dinamiche fra i personaggi si dimostrano decisamente prevedibili, mentre il drammatico background di Sam si limita a qualche vago accenno al rapporto irrisolto della donna con una figlia data in adozione.
Rimane alquanto approssimativo pure il subplot dedicato agli intrighi legati alla compagnia mineraria dei Tanner e all'ambigua situazione di Rima: a conti fatti la figura più intrigante del film, anche per merito dell'attrice angloindiana Indira Varma. Il resto, incluso un finale frettoloso e poco incisivo, non offre pressoché nulla di davvero interessante, finendo per far somigliare Close, più che a un action movie originale e compiuto, a un episodio particolarmente lungo di un banale procedural del decennio scorso, già pronto ad essere inghiottito e sommerso nel calderone dei titoli di Netflix.
Movieplayer.it
2.0/5