A pochi giorni dallo spegnimento delle 75 candeline (il 31 marzo), Christopher Walken è arrivato a Losanna in quanto ospite d'onore della prima edizione di Rencontres du 7ème Art Lausanne, nuovo festival ideato dall'attore e regista Vincent Perez in collaborazione con la Cineteca svizzera e con il sostegno di Thierry Frémaux, delegato generale del Festival di Cannes e direttore artistico del Festival Lumière a Lione, di cui la kermesse concepita da Pérez vuole essere l'omologo elvetico: si mette l'accento sulla storia del cinema, con proiezioni e incontri, in presenza di protagonisti di alto livello del panorama audiovisivo mondiale. L'omaggio a Walken si concluderà il 28 marzo con la cerimonia di chiusura e la proiezione del film Fratelli di Abel Ferrara. L'attore si è però anche prestato a un incontro aperto al pubblico, tenutosi al Capitole (storica sala di Losanna) dopo la proiezione speciale de Il cacciatore, lungometraggio per cui Walken vinse l'Oscar come miglior non protagonista, e del quale si festeggia il quarantesimo anniversario. La conversazione è stata moderata da Frédéric Maire, ex-direttore artistico del Festival di Locarno e dal 2009 direttore della Cineteca svizzera.
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L'incontro con Michael Cimino
La prima domanda verte sull'incontro con il mitico regista de Il cacciatore, scomparso nel 2016 e noto al pubblico locale poiché proprio al Capitole aveva presentato la copia restaurata del suo primo film, Una calibro 20 per lo specialista. Walken lo ricorda con affetto: "Ero a New York, e ricevetti una telefonata del mio agente. Incontrai Michael, e lui mi chiese quale personaggio volessi interpretare. Mi interessava il ruolo che fu poi affidato a John Cazale, lui acconsentì ma dopo alcune conversazioni in più mi disse che mi voleva per la parte di Nick. Con gli altri attori siamo andati tutti insieme a Cleveland e passato dieci giorni in gruppo prima delle riprese. Siamo andati a matrimoni, a cena insieme, e ci siamo conosciuti bene. Non ho mai più lavorato così. Credo che nessuno di noi conoscesse gli altri all'inizio. Michael ci diede una foto, con un gruppo di ragazzini di circa dieci anni, e ci disse che quelli eravamo noi."
L'esperienza è stata fondamentale per la carriera dell'attore, allora semisconosciuto sul grande schermo: "Fu molto importante. Non avevo fatto molti film prima, avevo una parte minore in Io e Annie e poco altro. Il cacciatore mi ha cambiato la vita." Walken ha poi ritrovato Cimino per il famigerato I cancelli del cielo, poco apprezzato ai tempi dell'uscita in sala: "È stato bellissimo realizzarlo, otto mesi di lavoro. Pensavamo tutti che sarebbe stato fantastico, poi uscì e andò malissimo. Non mi spiego l'insuccesso totale, per me è un film molto sottovalutato. L'hanno accettato più rapidamente in Europa, in America ci fu un piccolo scandalo legato ai costi e ai tempi di lavorazione. Credo anche che se ne fosse parlato troppo a priori, l'eccesso di hype ha danneggiato il film."
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Gli esordi
Si va quindi a ritroso, per capire cosa abbia spinto Walken a scegliere il mestiere di attore. "Sono nato all'interno dello show business", spiega il divo. "Io e i miei fratelli siamo coetanei dell'arrivo della televisione a New York, tutto si faceva in diretta e usavano moltissimo i bambini, per un pubblico composto soprattutto da famiglie. Ho iniziato così, facendo musical in TV, e ho continuato a farli dopo aver finito la scuola, fino all'età di trent'anni. Poi sono diventato un attore serio a teatro, dopo che mi hanno suggerito di fare un provino, e la stessa cosa è successa con i film. Ogni fase della mia carriera è nata un po' a caso."
Quando si pensa al Walken ballerino, dice Maire, è difficile non avere in mente un noto videoclip girato da Spike Jonze. E anche nei film non musicali, incluso Il cacciatore, tende a esserci un minimo di movimento ritmato. Walken ricorda il suo primo musical cinematografico: "Recitavo da un po' di anni, poi mi presero per il film Spiccioli dal cielo perché sapevano che avevo esordito come ballerino. Poi ho fatto altri musical, e li faccio ancora. Quanto al video di Spike Jonze, ho provato la coreografia per tre settimane con il figlio di Mickey Rooney, e l'abbiamo girato in una notte." Gli viene quindi chiesto se la danza per lui influenza in qualche modo la recitazione. "È una domanda interessante, perché non ho mai studiato recitazione", spiega l'attore. "Il mio approccio è sempre legato più al ritmo che al senso. Non so cosa dicano gli attori e come lavorino, ma so quando ciò che dicono ha il suono giusto."
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Assenza di metodo
La questione del suono, evocata nella risposta precedente, fa capolino anche nella spiegazione di come avviene la preparazione per qualsiasi ruolo. "Per me ogni lavoro è lo stesso", chiarisce Walken. "Leggo il copione in cucina, ripetutamente, e poi comincio a dire le battute a voce alta, e nel mentre cucino e faccio anche altre cose. Dopo un po' il suono comincia a essere quello giusto. Che sia un film drammatico, comico o fantastico, il mio lavoro non cambia." Il suo approccio è quindi agli antipodi, suggerisce Maire, di quello di un attore come Robert De Niro, formatosi all'Actors Studio e abituato a un'immedesimazione totale. "Sì, non so fare quello che fa lui. Io fingo. Per me recitare è esattamente come i giochi che facevo da bambino con gli amici. Non conosco altri metodi."
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Collaborazioni di prestigio
La conversazione verte quindi su alcune esperienze professionali specifiche, a cominciare da Tim Burton, con cui l'attore ha lavorato due volte. Walken lo ricorda con sguardo divertito: "Lui è un genio, fa cose fantastiche, e le fa benissimo. In Batman - il ritorno c'è una scena, credo sia rimasta nel film, dove parlo con mio figlio di sua madre. Non capivo la scena, non avevo idea di cosa stessi dicendo. Tim mi portò fuori dal set, un teatro di posa pieno di pinguini, e facemmo un giro in mezzo alla strada. Mi spiegò tutto e nel giro di pochi minuti capii, girammo la scena e funzionava. Capisce bene il lavoro degli attori." Dai pinguini è passato ai cavalli, ne Il mistero di Sleepy Hollow, e a tal proposito c'è un aneddoto spassoso: "Inizialmente dissi di no, perché non so nulla di cavalli, mi fanno paura e spesso loro mi detestano. Lui mi rassicurò, avremmo usato un cavallo finto. Me lo mostrò sul set, era un cavallo meccanico molto verosimile. Poi ho scoperto che era lo stesso usato da Elizabeth Taylor in Gran Premio, l'avevano tenuto perché immagino che fosse costato parecchio."
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Viene evocato anche Abel Ferrara, che ha diretto Walken in più di un'occasione. "Adoro Abel, è un caro amico", dice Walken. "Il suo metodo è molto spontaneo, le scene sono girate in maniera quasi caotica, ma poi con il montaggio diventano eccezionali. Non lo vedo più così spesso da quando ha lasciato New York, mi manca molto." Sulla questione dei metodi registici viene poi precisato quale sia l'unico aspetto in grado di infastidire l'attore: "Recitare è legato alla fiducia in se stessi, se non ti piace puoi rifare la scena. Quello che mi crea problemi è quando un regista è soddisfatto e non la vuole rigirare, sebbene tu abbia delle riserve o dei suggerimenti. Abel non fa così, è aperto a ogni proposta. Per un attore il piacere più grande è tornare a casa dal set la sera e pensare che il lavoro fatto in giornata era buono."
Una voce molto particolare
Frédéric Maire torna sulla questione del ritmo, soffermandosi su un aspetto specifico: la dizione di Walken, che negli USA è tra le più gettonate fra comici e imitatori (come potete vedere nel video qui sotto). La spiegazione è piuttosto logica: "Vengo da una parte di New York dove erano tutti europei, gli adulti parlavano italiano, tedesco, francese, polacco, greco. Il loro era un inglese anomalo, incerto, e l'ho imparato così, mio padre parlava tedesco. Quando parlo è come se venissi da un altro paese." C'è un legame tra questo aspetto e i numerosi ruoli da mafioso? "Non so se sia quello il motivo. I film costano parecchio, e quelli brutti vengono fuori con le stesse difficoltà di quelli riusciti. Se hai successo in un determinato tipo di ruolo, probabilmente ti chiederanno di rifarlo. Io ho iniziato con Io e Annie, dove ho tendenze suicide, e Il cacciatore, dove mi sparo in testa alla fine. La gente quindi mi vede bene nei panni di personaggi eccentrici o pazzi. Quanto ai gangster, credo che sia semplicemente il mio essere originario di New York."
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Risate e musica
Il pubblico, in particolare quello europeo, conosce forse meno bene il lato comico dell'attore, che in America ha condotto vari episodi del popolare varietà Saturday Night Live. "Come ho detto, ho iniziato coi musical, e non mi prendevo molto sul serio", dice Walken ridendo. "Ho riscoperto quel lato della mia personalità." A proposito di musical, viene citato l'esempio più strano, a teatro: The Dead, dal racconto di James Joyce. "John Huston l'aveva portato al cinema, questo era sul palco a Broadway, con elementi musicali. L'unico problema è che non canto benissimo, ma spero di essermela cavata."
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Passato e futuro
L'incontro volge al termine, e si parla di due esperienze in particolare legate al cinema di genere. La prima è La zona morta di David Cronenberg, uscito nel 1983: "Spero di non sbagliarmi, ma credo che Stephen King abbia detto che è il suo adattamento preferito. Cronenberg è un'ottima persona, è stata una bella esperienza lavorare con lui." Negli anni Novanta l'attore è invece stato l'arcangelo Gabriele, in versione villain, in L'ultima profezia. "Lo adoro, è terribile, un vero cattivo", ricorda Walken con un sorriso. "Mi sono divertito molto a interpretarlo tre volte. Volevano fare un quarto episodio, ho detto di no e il produttore mi chiese se improvvisamente fossi diventato un artista serio. Alla fine l'hanno girato con un altro attore." Gli viene quindi chiesto se ci sono personaggi che gli sarebbe piaciuto interpretare: "Tantissimi. Feci il provino per Love Story, e per fortuna non mi diedero quella parte. Mi interesserebbe soprattutto lavorare con certi registi, come Scorsese. Ho lavorato con Mike Nichols, Spielberg, Abel, ma mi piacerebbe essere diretto da certi cineasti, come Bertolucci, per esempio. Magari la prossima volta." In effetti, dice Maire, le collaborazioni con registi non americani sono poche. "Non ho lavorato con molti registi europei perché nessuno mi ha chiesto di farlo", precisa Walken, famoso per la sua abitudine di non rifiutare quasi mai le parti che gli vengono offerte. "Il più delle volte, se un regista mi propone un ruolo, lo accetto, quindi basta chiedere."
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