Vogliamo iniziare la nostra recensione di Chernobyl 1986 con una riflessione sul film disponibile su Netflix e che, in poco tempo, ha scalato la classifica dei titoli più visti della piattaforma (al momento in cui scriviamo è saldamente ancorato alla seconda posizione della Top 10 italiana). Diretto da Danila Kozlovskij, questo film russo che affronta il disastro della centrale nucleare paga dazio di essere arrivato un po' di tempo dopo la meravigliosa miniserie televisiva targata HBO. Per quanto non è nelle nostre intenzioni commentare questo film in base a una serie di paragoni con una controparte che non ammette confronti (una miniserie televisiva americana con un film russo), è indubbio che alcuni elementi sono talmente simili da poter considerare questo film la risposta russa al lavoro di Craig Mazin, ampiamente criticato all'epoca tra gli esponenti del partito comunista. Appare, quindi, davvero sorprendente come questo film di stampo melodrammatico assomigli ai classici film americani patriottici, in cui il disastro è solo una scusa per portare al centro dei riflettori un eroe. Forse è proprio a causa di questi stilemi così canonici che il film è riuscito ad arrivare a un pubblico così ampio e a trovare il proprio successo, ma oltre a questo Chernobyl 1986 sembra il prodotto medio senza infamia e senza lode che trova su Netflix una dimensione adatta.
Una storia di valore
Dieci anni dopo il loro ultimo incontro, Olya, una giovane parrucchiera, e Alexey, un pompiere valoroso, si ritrovano quasi per caso. Tra i due ritorna quell'attrazione che sembrava dimenticata e che ha lasciato un vuoto di promesse non mantenute, di abbandoni e anche di un figlio che Olya ha cresciuto da sola. Nonostante qualche ferita aperta, i due provano a trovare quell'unione che entrambi desiderano. Qualche settimana dopo, Alexey è pronto per andare in pensione, ma non può immaginare di dover abbandonare di nuovo la sua famiglia per salvare una città intera: il quarto reattore della centrale nucleare di Chernobyl è esploso. Le polveri radioattive rischiano di causare un'enorme tragedia, oltre i confini di Kiev e della Russia. Da pompiere si offrirà volontario per scendere nelle profondità della centrale, sopportare l'acqua bollente e cercare di drenare l'acqua sotto al reattore. Nel frattempo, Olya, con il figlio sempre più fragile per le radiazioni, dovrà solo aspettare e sperare nel ritorno del suo amato. È una classica storia di stampo patriottico (per quanto, va detto, non particolarmente incisivo e retorico), dove l'evento storico è solo lo sfondo nel quale inserire i classici topoi del melodramma. In questo, Chernobyl 1986 assomiglia davvero a uno dei più stereotipati film americani per il grande pubblico, nel tono e nella costruzione dei personaggi, nel modo in cui la colonna sonora romantica commenta le immagini, nel sentimentalismo retorico. Ci si concentra unicamente sull'eroe russo, l'individuo che sacrificandosi salva "i compagni" e mette a dura prova la sua vita per lo Stato e il bene comune anche rinunciando alla propria famiglia. La didascalia finale parla chiaro: il film è dedicato agli eroi di Chernobyl. Una frase che non è solo un omaggio alle persone valorose, ma diventa anche chiave di lettura del film.
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L'eroe e tutto il resto
Non sorprende, quindi, che la tragedia di Chernobyl sia solo una scusa narrativa per muovere i personaggi e raccontare l'eroica impresa di un uomo. Lontano dal voler essere un film di denucia, puntare il dito contro i fallimenti nella costruzione della centrale o anche solo riflettere sul disastro avvenuto, Chernobyl 1986 non si interessa di tutto ciò che circonda l'eroe protagonista. Se al posto del vero evento storico del 1986 si fosse costruito un racconto totalmente fantasioso il film sarebbe rimasto pressoché simile. È il vero, grande difetto di questo film che ci mette troppo tempo a decollare (la prima mezz'ora è veramente troppo lunga) e che, soprattutto, non sa coinvolgere a dovere il proprio pubblico. Superficiale non solo nella narrazione, ma in particolare nella messa in scena, non si percepisce il pericolo, la corsa contro il tempo, la sofferenza del momento. Manca totalmente l'atmosfera intorno ai personaggi, la costruzione di un ambiente nel quale i protagonisti vivono e devono lottare per esso, tanto da essere costretti a dire ad alta voce cosa provano, come si sentono e persino quanto caldo fa. Una grave mancanza per un'opera cinematografica, che dovrebbe basarsi sulla forza delle immagini e sul racconto attraverso il mostrare. La concentrazione è solo sull'eroe maschile, capace di mettere in ombra e ribaltare la controparte femminile. Olya sembra la protagonista del film nella prima metà, per poi sparire del tutto nel momento in cui sono gli uomini a dover lavorare e salvare la patria.
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Tra cinema e semplice televisione
Non si coglie nemmeno una grande qualità cinematografica all'interno di queste due ore e venti, al netto di qualche momento che graffia con stile. L'uso della camera a mano dona un piacevole senso di realtà che viene messo a dura prova a causa di una fotografia piatta che allontana la dimensione cinematografica per rientrare in quella più banale e semplice del piccolo schermo. A questo proposito non possiamo fare a meno di notare come la miniserie HBO fosse molto più curata visivamente e, a suo modo, persino più cinematografica nella messa in scena. Condividendone la storia, la struttura generale e persino la missione principale (quella di sacrificarsi per arrivare alla valvola sotto il reattore e drenare l'acqua), il paragone è sotto gli occhi dello spettatore. Chernobyl 1986 sembra però rivolgersi allo spettatore che non ha intenzione di impegnarsi troppo nella visione e, a una prima metà davvero poco interessante e molto melodrammatica, riesce comunque a regalare il minimo indispensabile nella seconda parte per mantenere l'interesse acceso. La domanda allora sorge spontanea: davvero ci basta così poco per determinare il successo di un'opera? Possiamo sacrificare la messa in scena, la stratificazione degli elementi e del contenuto, un cuore pulsante all'interno dell'opera per accontentarci del minimo? Solo il tempo ci dirà se questo gioco al ribasso saprà consegnare un po' di valore non solo agli eroi protagonisti, ma anche agli stessi prodotti audiovisivi.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Chernobyl 1986 troviamo pochi motivi di interesse, se non il più semplice e medio intrattenimento più basilare, all’interno di questo film russo, controparte cinematografica (e quasi una risposta) della più riuscita miniserie targata HBO. Il tragico evento storico è lasciato come motore per muovere dei personaggi archetipici e imbastire un film di stampo melodrammatico, che non vuole far riflettere né concentrarsi sul disastro della centrale nucleare. Diventa invece un inno all’eroismo maschile, dell’uomo che si sacrifica per il proprio Paese dove solo qualche momento registico spicca in un film davvero televisivo. Sarà il pubblico a scegliere se accontentarsi (e i numeri su Netflix sembrano premiare l’operazione), ma per noi è davvero troppo poco.
Perché ci piace
- Nella seconda parte il film migliora e riesce a mantenere lo spettatore interessato alla vicenda.
- Qualche breve momento registico spicca su tutto il resto.
Cosa non va
- Basandosi su archetipi da cinema mainstream americano, il film non sa sfruttare l’evento storico.
- Oltre al retorico eroismo del protagonista maschile manca tutto il resto.