Questo 2023 è l'anno degli esordi per figure di spicco del nostro cinema che hanno voluto fare il grande salto dietro la macchina da presa: Micaela Ramazzotti con Felicità in quel di Venezia, Margherita Buy e Paola Cortellesi alla Festa di Roma con Volare e C'è ancora domani, Claudio Bisio di recente con L'ultima volta che siamo stati bambini. Ma è un discorso che in qualche modo si presta anche per Antonio Albanese, di nuovo regista ma ancora più a fuoco nel ruolo e al servizio di una storia delicata, anche lui alla manifestazione della Capitale e con il riuscito film di cui vi parliamo in questa recensione di Cento domeniche. Un lavoro sofferto, doloroso, che affronta un tema sentito e delicato che l'autore mette in scena con il giusto tono, il giusto rigore formale, senza particolari guizzi, ma neanche sbavature che possano sporcarne l'efficacia e la portata emotiva.
Cento domeniche e una trama sofferta
Il protagonista di Cento domeniche è Antonio, ex operaio di un cantiere nautico che conduce una vita tranquilla, placida, tra il gioco a bocce con gli amici, la cura della madre anziana, una ex moglie con cui intrattiene buoni rapporti. E la figlia che ama alla follia, Emilia, che annuncia felice la decisione di sposarsi. Una gioia che condivide con lei, perché finalmente può regalarle il matrimonio che ha sempre sognato, affidandosi ai risparmi di una vita. Una situazione sotto controllo, almeno in apparenza, almeno fino a quando la banca a cui Antonio e tutto il paese ha affidato la sua vita non inizia ad avere problemi, tra dipendenti sfuggenti, direttori che si alternano uno dopo l'altro e altri problemi che si fanno sempre più evidenti. Il sogno di una vita diventa così un miraggio, un'impresa più difficile da realizzare e l'inizio di un percorso doloroso e drammatico.
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Un padre in difficoltà
Antonio Albanese non si limita solo a costruire il racconto e raccontarcelo con uno stile sobrio, asciutto, efficace, ma si carica sulle spalle il ruolo drammatico del protagonista, uomo comune, ex operaio come tanti, con sogni altrettanto semplici ma non per questo meno importanti. Un ruolo delicato che l'attore incarna senza lasciarsi andare a eccessi, senza steccare il tono del racconto e mettendosi al servizio della storia, della sua nuova storia da regista con la giusta umiltà e distanza. Non è un film che ha particolari guizzi nella costruzione del racconto e della messa in scena, è vero, ma è altrettanto evidente che l'Antonio Albanese regista dimostri ancora una volta un occhio, uno sguardo capace di trasmettere sensazioni, emozioni e tematiche della storia che va a costruire. Lo fa da regista, lo fa da attore, riesce a ottenerlo dal resto del cast, tutto in parte e capace di trasmettere allo spettatore l'empatia necessaria a comunicare l'importanza del tema e delle sue ripercussioni sociali.
I custodi dei sogni
È infatti importante il tema che la storia di Cento domeniche affronta, quello della crisi economica, dei crac bancari, della protezione dei risparmi che affidiamo alle banche e alle strutture preposte che possono approfittarsene o non salvaguardarli nel modo adeguato. Si parla di truffe, di raggiri, di gestione non trasparente della clientela e delle loro esigenze, di storie che fin troppo spesso abbiamo letto tra le notizie di cronaca. Per questo è un tema che tutti sentiamo caro e una storia che accogliamo con inevitabile sofferenza e partecipazione. Perché un po' tutti noi ci sentiamo, chi più chi meno, nelle condizioni dell'Antonio interpretato da Albanese al cospetto di realtà che ci parlano di cose che possiamo non comprendere a fondo, alle quali non possiamo far altro che affidarci con un pizzico di incoscienza e con sofferta fiducia. Nella speranza, non sempre ripagata, che non sia malriposta.
Conclusioni
È un buon film quello di cui vi abbiamo parlato nella recensione di Cento domeniche: Antonio Albanese conferma di avere un suo sguardo attento e compiuto, oltre alla consapevolezza della storia e di quello che vuole comunicare allo spettatore. Non è un film che ha particolari guizzi di messa in scena, ma ha una sicurezza che ne rende pulita e solida la costruzione nel raccontare il dramma personale di un uomo con la cui sofferenza riusciamo inevitabilmente a empatizzare, al di là delle scelte che compie e del modo in cui affronta la situazione in cui si trova. È riuscita la regia di Albanese e lo è anche la sua prova d’attore, circondato da altri comprimari ugualmente efficaci e in parte.
Perché ci piace
- La regia di Albanese: asciutta, solida, ma capace anche in questo caso di dimostrare un proprio sguardo compiuto.
- L'Antonio Albanese attore, ugualmente efficace nel creare empatia per il dramma del protagonista.
- Il tema delicato dei crac bancari e della salvaguardia dei consumatori.
Cosa non va
- La regia non ha particolari guizzi… ma non ce n'era bisogno.