Caterina Rugghia e i suoi primi Cinque secondi: "La mia generazione? Fa paura perché è uscita dall'ombra"

"Lavoriamo in un'industria capitalista, ed è pericoloso affrontarla senza una vera formazione. Mastandrea? Una persona di grande umanità". Mezz'ora al telefono con l'attrice, "scovata" da Paolo Virzì per lo splendido Cinque secondi. In sala.

Una foto di Caterina Rugghia

Accento romano, voce squillante e decisa. "Non ho fatto in tempo a rispondere alla chiamata, sono in pausa pranzo", ci dice Caterina Rugghia dopo averci prontamente richiamato. La raggiungiamo al telefono mentre sta per mangiare "un piatto di pasta" tra una lezione e l'altra. Frequenta il terzo anno dell'Accademia Silvio d'Amico, ma alle spalle ha un lungo percorso segnato dalla danza e dal teatro. Classe 2003, Caterina Rugghia ha affrontato il suo primo (memorabile) ruolo da attrice sul grande schermo grazie a Paolo Virzì, che l'ha voluta nello splendido Cinque secondi.

Rugghia interpreta Elena, "figlia" di uno straordinario Valerio Mastandrea, nel ruolo di un avvocato ritiratosi in solitudine in attesa di espiare una terribile colpa. Durante l'intervista l'attrice - con conoscenza, curiosità e libertà - parte proprio dallo splendido rapporto instaurato con Mastandrea, per poi arrivare a parlare della sua generazione. Quella che, come ha detto lo stesso Virzì, "incute timore a certe piazze politiche e sociali".

Caterina Rugghia: la nostra intervista

Che ti ha detto Valerio Mastandrea alla fine delle riprese?
"Mi ricordo l'abbraccio che ci siamo dati alla fine. Il rapporto che si è creato tra me e lui era bellissimo, e non avrei potuto chiedere di meglio. È un grande professionista, ma anche una persona di grande umanità. E non è affatto scontato che un attore del suo livello voglia mettersi in gioco, relazionandosi davvero con gli altri".

Cinque Secondi Valerio Mastandrea Immagine
In scena con Mastandrea

In Cinque secondi c'è il tema del perdono. Cosa significa per te perdonare?
"Trovo molto umano e commovente che, all'interno del film, ci sia un tema come questo. La prima reazione umana davanti all'errore è difendersi, per sopravvivere. In Cinque secondi invece si apre il tema del perdono. Che cosa significa davvero? Mettersi davanti alla vita e abbassare le difese. Chiedere perdono ti espone, ti porta a mostrarti. È un tema molto attuale: viviamo in un'epoca di continua esposizione dell'epidermide, ma siamo disabituati a mostrare qualcosa di veramente intimo".

È vero che le nuove generazioni fanno paura?
"Una super tematica. Il grande tema generazionale c'è sempre: è come se i giovani portassero con sé un nuovo mondo, una nuova energia. Chi ha superato una certa fase della vita si sente forse escluso, perché va in una direzione diversa. La vita è una salita, ma poi arriva l'inevitabile discesa - anche nel modo di decodificare il mondo. Anche nel film c'è un universo diverso da comprendere e interpretare".

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Cosa c'è di diverso in voi, rispetto alle generazioni precedenti? C'è più pressione?
"È stato diverso: su di noi c'è un'attenzione particolare, e anche un certo timore. Io cerco sempre il dialogo, soprattutto con i più grandi - che siano insegnanti o familiari. È uno scambio bello, arricchente. Sento che la mia generazione porta con sé veri contenuti. Non che prima non ci fossero, ma questa è un'epoca storica complessa. I giovani oggi escono allo scoperto, dichiarando da che parte stanno nel mondo, spesso anche in modo binario. A livello identitario, c'è un desiderio più forte di creare comunità, di affermarsi come esseri che esistono davvero, non solo come ombre".

Oltre i social: l'identità di un'attrice

Caterina Rugghia Foto Attrice
Un primo piano dell'attrice. Foto di Stefano Macciocca

C'è una sorta di fatica verso i social?
"Sì, e lo riconosco nella mia generazione. Noi siamo nati che i social "c'erano già". Io, per esempio, sono nata nel 2003. Oggi si percepisce un senso generale di rifiuto: è strano, perché è un rifiuto accompagnato da un tacito accordo verso lo strumento comunicativo. Molte persone lavorano tramite i social - penso ai creator o ai divulgatori. Alla base dei social ci sono spunti nobili, ma poi questa cosa ha preso un'altra piega".

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Forse internet crea falsi miti?
"Forse. Ma il rapporto con il "mitizzare" non mi appartiene, nemmeno quello con l'idolo. Non ho mai avuto un idolo. È come se mi mancasse quella personalizzazione o l'idolatria dell'altro".

Cosa vedi al cinema? Cosa leggi?
"Mi piace spaziare. Al cinema ricerco i vecchi film d'autore; frequento il Troisi, a Roma, che ha una programmazione speciale. Frequento anche il teatro, che è la mia prima passione. A casa non ho la televisione, non è mai stata una grande attrattiva per me. Mi piace scrivere, leggere - soprattutto testi teatrali o i grandi classici, come la letteratura russa".

L'importanza dello studio

Caterina Rugghia Foto
Una foto di Caterina Rugghia. Foto di Stefano Macciocca

Hai paura di restare incastrata nei ruoli teen?
"In America i trentenni interpretano i quindicenni. Anche in Italia è così. Sono consapevole di portare un'immagine sullo schermo e inevitabilmente me la porterò dietro per un po'. Mi piace lavorare su un certo range di età, poter fare esperienza di storie e personaggi diversi".

Lo studio è importante?
"I percorsi di studio sono molteplici e non ce n'è uno migliore dell'altro. Parlo per la mia esperienza personale: sono all'ultimo anno dell'Accademia, ma lo studio non finisce mai. Oggi ho molte più domande rispetto a quando sono entrata. La cultura è uno scudo contro il mondo: ci aiuta a muoverci con più consapevolezza e autorevolezza".

C'è molta competizione nel tuo mestiere?
"I numeri sono alti: questo non è un lavoro che si fa solo frequentando una scuola, ma che si può raggiungere in molti modi. Da una parte è bello, dall'altra serve formazione. Spesso capita che uno ottenga un ruolo e poi scompaia: è un mercato capitalista e consumista. È rischioso affrontare questo mestiere senza una formazione solida. È un lavoro che non potremmo fare tutti, e questo pensiero a volte mi spaventa. Ma andando oltre la competizione, mi accorgo che il sistema è complesso. Non sento di dover combattere qualcuno nella mia stessa posizione: desidero fare questo lavoro semplicemente perché mi rende felice".