Voi gridavate cose orrende e violentissime e voi siete imbruttiti; io gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne!
In una delle battute più giustamente famose di Caro diario, il cliché dell'amarezza del ritratto generazionale viene rovesciato con orgogliosa soddisfazione, accentuando la distanza fra i pronomi "voi" e "io". Perché nel 1993, all'uscita del film (premiato per la miglior regia al Festival di Cannes), Nanni Moretti è alla soglia dei quarant'anni, e a questa riflessione esistenziale, al contempo personalissima e universale, corrisponde pure una nuova fase nel percorso del suo cinema. Un percorso di cui non possiamo non tenere conto nella nostra recensione di Caro diario, forse la pellicola tutt'oggi più amata nella produzione di Moretti, nonché un decisivo spartiacque nella filmografia dell'attore e regista romano.
Nanni-autore e Nanni-personaggio
Caro diario debutta nelle sale a quattro anni dal bellissimo Palombella rossa, punto d'arrivo della parabola di Michele Apicella. L'autobiografismo mascherato dietro questo indimenticabile alter ego morettiano viene riproposto in Caro diario in forma ancora più esplicita, a partire da un titolo che non potrebbe essere più emblematico e dalla scelta di una sostanziale identificazione fra il Nanni-autore e il Nanni-personaggio: un'identificazione destinata a proseguire nel 1998 in Aprile, che con Caro diario costituisce infatti una sorta di ideale dittico. La natura 'diaristica' è declinata nella struttura stessa del racconto: tre capitoli distinti, accomunati però dall'amalgama tra finzione narrativa (prevalente nei primi due episodi) e memorialistica, incluso il breve filmato di una vera seduta di chemioterapia.
Al primo segmento, In vespa, è legata la forza iconica del film stesso: la sagoma di Nanni Moretti ripreso di spalle mentre gira per Roma sulla sua vespa è entrata di diritto nell'immaginario culturale italiano degli ultimi decenni, così come una serie di scene e di battute in cui l'ironia tipicamente morettiana tocca le sue vette più alte. In molti casi, ovviamente, il bersaglio di tale ironia è il cinema: dalla frecciata (velata, ma quanto mai riconoscibile) a Lina Wertmüller, che rievoca le invettive pronunciate nel 1976 in Io sono un autarchico, all'esilarante esegesi di Henry - Pioggia di sangue, conclusa dalla sadica fantasia rivolta contro un critico divorato dai rimorsi, una parentesi surreale degna del miglior Woody Allen (non a caso il regista più prossimo alla sensibilità di Moretti).
Ma come parla? Le frasi e le scene culto del cinema di Nanni Moretti
"Quando è cominciato tutto questo?"
C'è poi la semiseria dichiarazione d'amore a Flashdance, con tanto di buffa apparizione di Jennifer Beals nel ruolo di se stessa, e l'omaggio ad Anna di Alberto Lattuada, con il protagonista folgorato dalla comparsa della 'suora' Silvana Mangano sullo schermo di una TV; e in apertura, il dramma generazionale borghese proiettato in una delle poche sale ancora aperte nell'agosto romano e il proposito di girare "la storia di un pasticcere trotzkista nell'Italia degli anni Cinquanta: è un film musicale, un musical" (e il musical sul pasticcere trotzkista verrà puntualmente messo in scena in Aprile). Al cinema fa da inesorabile contraltare la televisione, che nel secondo capitolo, Isole, è croce e delizia dell'amico intellettuale di Nanni, il filosofo Gerardo (Renato Carpentieri), le cui aspirazioni da studioso ascetico saranno incrinate dalla fascinazione per Beautiful e i suoi sorprendenti intrecci familiari.
A una Roma estiva semideserta e ai suoi quartieri popolari, attraversati da Nanni Moretti sulle note di I'm Your Man di Leonard Cohen, si sostituisce nel secondo episodio l'arcipelago delle Eolie, esplorato in compagnia di Gerardo sottolineandone il contrasto fra autenticità e turismo di massa, fra quiete bucolica e irresistibili idiosincrasie (la crisi di nervi di Gerardo e la sua fuga precipitosa da Alicudi). Infine, in Medici, l'indagine sulla solitudine condotta con lucido umorismo nei precedenti episodi prosegue in una tonalità differente: Nanni si mostra nella sua vulnerabilità fisica, a cui si accompagna un'odissea kafkiana fra i dottori, con le loro diagnosi sbagliate, le terapie inefficaci e l'infinito elenco di medicinali. Un'ennesima variazione sul tema del senso di impotenza davanti all'incontrollabilità del reale, alla paura di un'incomunicabilità endemica che pare estendersi ad ogni livello del nostro vissuto.
Ma perfino nel reenactment del calvario biografico di Medici, la voce di Nanni Moretti non si lascia mai contagiare da tentazioni moralistiche (rigettate anzi per bocca del personaggio di Gerardo, in antitesi agli strali contro la "cultura bassa" espressa dalla televisione), né da pessimismi di matrice esistenzialista. Al contrario, Moretti si tuffa nel confronto con la solitudine con una fierezza quasi gioiosa: "Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone", proclama il suo Nanni nella frase più citata di tutto il film; "Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza".
Conclusioni
Nel concludere la nostra recensione di Caro diario, vale la pena ribadire come ogni ipotesi di sconforto sia soffocata sul nascere dall’impulso vitalistico insito nello sguardo di Moretti e nel fluire libero di una narrazione capace di cogliere frammenti di silenziosa bellezza: la sosta all’idroscalo di Ostia, davanti al monumento a Pier Paolo Pasolini, e quel bicchiere d’acqua sorseggiato serenamente nell’epilogo, con gli occhi puntati su noi spettatori.
Perché ci piace
- La commistione fra ironia e malinconia, fra autobiografismo e invenzione, in un amalgama fluidissimo e coinvolgente.
- Una galleria di scene e di battute memorabili, che includono alcuni fra i momenti più divertenti di tutto il cinema di Nanni Moretti.
- La straordinaria capacità di raccontare se stessi e la propria contemporaneità in maniera profondamente autentica, ma al contempo universale.
- Il senso di prossimità e di empatia che questo diario intimo è in grado di suscitare nello spettatore.
Cosa non va
- Lo scarto dall’umorismo al dramma (per quanto con venature ironiche) che, nel terzo episodio, produce un improvviso cambio di tono.