Regia numero venticinque per Carlo Verdone che torna con L'abbiamo fatta grossa, ancora una volta, ad alternarsi davanti e dietro la macchina da presa dopo Sotto una buona stella del 2014. Questa volta però il regista romano condivide il set, come per I due carabinieri con Enrico Montesano, In viaggio con papà con Alberto Sordi o Il mio miglior nemico con Silvio Muccino, con un altro noto comico del piccolo e grande schermo: Antonio Albanese.
L'inedita coppia è al centro di una commedia dalle sfumature da spy story sorretta da una serie di equivoci che sembrano crescere e gonfiarsi di scena in scena fino all'epilogo finale che, invece di concludere il film con un classico quanto scontato happy ending lascia lo spettatore con una piccola riflessione sul malcostume nostrano, senza intenti paternalistici ma riallacciandosi invece alla "leggerezza" della commedia all'italiana. Protagonisti della pellicola sono Arturo Merlino (Carlo Verdone), ex carabiniere reinventatosi, senza grandi successi, investigatore privato che abita con l'anziana zia vedova, convinta che il defunto marito sia ancora vivo, mentre cova un sentimento d'amore nei confronti di Lena (Anna Kasyan, la grande sorpresa del film), una barista armena con aspirazioni da cantante lirica, e Yuri Pelagatti (Antonio Albanese), attore teatrale talmente sconvolto dalla recente separazione dall'amata e delusa moglie da non riuscire a ricordare le sue battute in scena vedendo sfumare un ingaggio dopo l'altro a causa della sua reputazione di "attore senza memoria".
Proprio la sua gelosia nei confronti della nuova relazione dell'ex moglie, intrecciata nientemeno che con il suo avvocato divorzista, lo spinge a rivolgersi al professionista dello spionaggio per testimoniare, con tanto di foto incriminanti, la sua infedeltà. Da qui le strade dei due uomini, così simili nella loro diversità fatta di esperienze fallimentari, finiranno per intrecciarci grazie ad una serie di disastrosi equivoci scaturiti da intercettazioni, scambi di personalità, travestimenti, valigette piene di soldi, e rapimenti.
Una storia nuova
Due sono le grandi novità di L'abbiamo fatta grossa. Oltre alla nascita di una nuova coppia comica va segnalato un nuovo tipo di approccio alla storia scelto da Carlo Verdone. Se, negli ultimi anni, lo avevamo visto firmare ed interpretare film nei quali il suo personaggio doveva affrontare problemi legati alla sfera privata, dal rapporto con l'altro sesso a quello con i figlio, passando per le difficili condizioni lavorative in pellicole come Posti in piedi in paradiso, L'amore è eterno finché dura o il già citato Sotto una buona stella, con L'abbiamo fatta grossa il vero cuore del film risiede nell'incontro/scontro tra due uomini in un contesto nuovo per l'attore/regista. "È stato Pasquale Plastino, co-scenggiatore insieme a me e Massimo Gaudioso, a esortarmi per riprendere degli appunti passati su questa figura di investigatore squattrinato con problemi simili a quelli del personaggio di Antonio. La parte più difficile è stata la scalettatura visto il gran numero di eventi mentre scrivere la sceneggiatura è stato un processo molto più veloce" confida Carlo Verdone durante la conferenza romana di presentazione del film, aggiungendo: "Quando parti con l'idea di scrivere un film su un'investigatore privato è ovvio che nella sceneggiatura ci saranno elementi di noir o una leggera suspance sebbene si tratti sempre di una commedia. Ma con questo lavoro volevo, in un certo senso, liberarmi dai miei ultimi film che mi avevano visto protagonista in una serie di temi già affrontati, dallo scontro generazionale al conflitto uomo/donna. Con Antonio e la sua comicità così fisica volevamo creare qualcosa di nuovo ed inserire una leggera critica di costume nel finale. Il tutto con un'atmosfera più favolistica. Sentivo che, come avevo già fatto in passato, dovevo sterzare nella mia carriera, andando incontro ai gusti del pubblico ma sempre realizzando qualcosa che m'interessasse".
Con L'abbiamo fatta grossa, poi, a differenza del suo ultimo lavoro, girato quasi esclusivamente in interni, Verdone riscopre una Roma, così tanto abusata nella storia del cinema, sotto un'aspetto meno conosciuto, ambientando il film in quartieri diversi dai soliti set capitolini, facendo anche scoprire a chi guarda scorci "nuovi" della città eterna. "Ho cercato di girare in quartieri poco battuti dal cinema, con il pasoliniano Bar Tevere sull'Ostiense. Un modo per me di omaggiare una Roma che non c'è quasi più, quella degli anni '50. Ma abbiamo girato molto anche a Monteverde Vecchio, al quartiere Castrense e sulla Nomentana cercando, anche con il direttore della fotografia, di non riprodurre una Roma da cartolina e cercare di girare in luoghi inconsueti. Inoltre, sempre con il direttore della fotografia e con lo scenografo e la costumista, abbiamo cercato un'amalgama unica nei colori, evitando di creare chiazze, ispirandoci a film di quindici/vent'anni fa di Woody Allen".
Questione di alchimia
Il film, che inizialmente fatica ad ingranare, basa la sua forza sull'autentica complicità che lega gli attori grazie ad una serie di gag che ne risaltano l'uno le battute dell'altro, merito di un tipo di comicità che fonda sull'espressività la sua carta vincente che accomuna l'inedito duo. E forse con L'abbiamo fatta grossa siamo difronte alla nascita di una nuova coppia comica che va ad aggiungersi a quelle che hanno fatto la storia della commedia italiana. "Se il pubblico apprezzerà abbiamo già una traccia sulla quale lavorare per reincontrarci tra un paio di anni. Credo ci sia bisogno di unire le forze come accadeva una volta nel cinema. È bellissima questa nostra unione perché siamo molto diversi e l'uno esalta l'altro fondamentalmente perché di fondo ci unisce la medesima ironia" sottolinea Verdone, subito rincalzato dall'amico/collega Antonio Albanese: "Avevo già conosciuto Carlo sul set di Questione di Cuore di Francesca Archibugi nel quale interpretava un piccolo cameo. Un solo giorno di riprese che è però stato sufficiente per capire che tipo di persona e di professionista fosse. Sul suo set seguivo un percorso tracciato ma ero anche libero di creare, spinto da una grande troupe e da una fiducia reciproca. Nel mio lavoro mi piace cambiare e confrontarmi con lui è stato eccitante. Sarebbe bello tornare a lavorare insieme per sviluppare questo ritmo. Carlo è un grande maestro del carattere e come me cerca di entrare dentro i personaggi per disegnarli. Il nostro è stato un duetto".
Un'amicizia nata sul set, complice anche "la comune passione per la musica e l'arte" come racconta Verdone e che ha trovato nel confronto il terreno fertile grazie al quale germogliare. "Lavorare con Carlo come regista in una commedia è una fortuna perché conosce le ansie e gli spazi necessari che devono esserci, lasciandomi libero. Sceglievamo insieme il ciak e mi piacerebbe dirigerlo , sfiancarlo, perché quando è stanco fa ridere tantissimo" racconta un'appassionato e divertito Albanese. E proprio sull'importanza del confronto e del lavoro di squadra prosegue il regista che confida: "Non amo chi sceglie da solo. È un modo autoritario. Credo invece che l'attore vada fatto sedere per fargli visionare il girato. Il mio monitor è aperto a tutti i miei attori così, rivedendosi, possono anche capire come realizzare al meglio quella determinata scena. Con Antonio e il montatore sceglievamo sempre il primo ciak, il più spontaneo. Durante le riprese non ci siamo mai scavalcati e credo che sia il miglio attore con il quale abbia lavorato".