Caccia ai killer 3, la recensione: documentare i mostri di ieri per narrare le paure di oggi

La recensione di Caccia ai killer 3, docu-serie firmata Netflix e dedicata alle indagini che hanno portato all'arresto dei più violenti e pericolosi serial-killer degli Stati Uniti.

Caccia ai killer 3, la recensione: documentare i mostri di ieri per narrare le paure di oggi

Alla base di Loch Henry - seconda puntata della sesta stagione di Black Mirror - sussiste una verità che ci viene spiattellata senza mezzi termini: siamo diventati non solo quei Peeping Tom profetizzati da Thelma Ritter in La finestra sul cortile (e da Samuele Bersani nel suo brano Cattiva), ma anche generatori umani di un vero e proprio voyeurismo macabro. Posti nel nostro sicuro nucleo domestico, assistiamo ai casi di cronaca, o alla loro versione finzionale, a debita distanza, consci che il vetro dello schermo ci proteggerà da eventuali attacchi interni a quel mondo di assassini e omicidi. Quell'universo non ci prenderà: il solo guardarlo è per noi un processo catartico dove la paura viene esorcizzata e il timore tenuto a distanza.

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Caccia ai Killer 3: una scena

E allora ecco che non solo le crime-fiction, ma gli stessi documentari sulle cosiddette "black news" (casi di cronaca nera) ci intrigano sempre più, insidiandosi nel nostro quotidiano sotto forma di prodotti da divorare episodio dopo episodio. Come sottolineeremo in questa recensione di Caccia ai killer 3, anche questa stagione della rinomata serie targata Netflix sfrutta appieno tale dilagante curiosità, offrendo un racconto suddiviso in quattro episodi antologici grazie ai quale dare un nome ad altrettanti famigerati serial killer statunitensi. Nell'arco di quaranta minuti, in ogni puntata ci viene promesso di saltare sulla sedia, rimanere con il fiato sospeso, e rivivere insieme agli agenti quegli attimi di terrore misti ad adrenalina: ma qualcosa in questo scambio poco equo viene meno, e ogni senso di quella tensione che ti manda in apnea, coinvolgendoti in ogni singola inquadratura si perde nel buio della notte. Doveva essere una dose di epinefrina, Caccia al killer, ma alla fine è solo una sequenza di ricordi interessanti, trasposti sullo schermo con fare poco mordaci.

Una corsa ridotta a camminata

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Caccia ai Killer 3: una scena

In questa Caccia ai killer c'è poco di adrenalinico o di angosciante. Più che una corsa, quella messa in scena nei quattro episodi della serie firmata Netflix, sembra piuttosto una passeggiata ad andatura lenta. Non vengono di certo esclusi i momenti salienti che hanno portato all'identificazione e all'arresto di criminali capaci di tenere con il fiato sospeso l'America intera, ma il modo in cui i registi Robin Dashwood e Suemay Oram si affidano a tale riproposizione televisiva non innesta alcun senso di suspense o irrefrenabile angoscia. Puntando essenzialmente alla ricostruzione dei fatti ricordati, grazie all'utilizzo di attori e set cinematografici, tutta la potenza intrisa in quegli eventi si depotenzia, evaporando come acqua al sole.

Elogio alle forze dell'ordine

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Caccia ai Killer 3: una scena

Caccia ai killer è un faccia a faccia continuo tra la lente della cinepresa (e, per sostituzione, tra l'occhio dello spettatore) e lo sguardo a volte commosso di poliziotti, agenti dell'FBI, e di tutto quel comparto investigativo che ha reso possibile la risoluzione di casi apparentemente impossibili come quelli qui narrati. Una concentrazione unidirezionale, questa, posta pertanto solo sugli inseguitori, e mai su coloro che hanno dovuto fare i conti con le azioni compiute dagli inseguiti. Un'assenza pesante, a tratti pressante e tangibile, quella dei famigliari delle vittime cadute tra le mani di serial killer e attentatori; di chi - cioè - ha barattato la propria umanità con litri di sangue innocente.
Pesante, perché tale mancanza crea un disequilibrio che sposta il focus dell'attenzione dalle azioni e le conseguenze compiute dai killer, al ruolo dei poliziotti e delle forze dell'ordine qui coinvolti. Ciò che ne consegue è uno switch narrativo che va a tradire il senso stesso dell'opera: la caccia all'uomo diventa così un mero pretesto, un'idea posta sempre più ai margini della storia, a favore di un elogio neanche troppo sotteso, ai detective e agli ufficiali chiamati sul campo. E così la caccia ai killer si tramuta magicamente in un'altra, patriottica, "apologia dell'FBI e di tutte le forze d'assalto".

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Caccia ai Killer 3: una scena

C'è un senso di spreco, di qualcosa non pienamente sfruttato a dovere a celarsi tra i raccordi di Caccia ai killer. La potenza delle storie portate nuovamente alla ribalta, tra curiosità e indegno per un'umanità ridotta al grado zero, si fa puro pretesto per un racconto che si trascina facendosi largo in una tempesta di parole e ricordi. Per quanto d'impatto sulla carta, nel recupero di tale storie qualcosa viene a mancare nella loro riproposizione sia verbale, che visiva. Troppe e invasive le ricostruzioni attoriali e le scene ricreate in studio. Pochi e non all'altezza i materiali di repertorio selezionati per accompagnare il flusso mnemonico di chi sul campo ha sentito l'odore di morte, paura e timore.

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Ricordi dei killer di ieri, per una produzione che guarda al passato

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Caccia ai Killer 3: una scena

Un "livello di intensità, ansia e stress": è questo il quadro emotivo che colpiva indistintamente e in maniera eguale gli agenti chiamati a dare un nome a quelle ombre che si aggiravano tra i quartieri con in mano un'arma e nell'anima un senso di morte. Ed è proprio quello stesso livello di ansia e intensità a tratti insostenibile, che lo spettatore si aspetta di provare nel momento in cui decide di vedere Caccia ai killer e preme con fare curioso sul pulsante "play". Tutto viene invece abbigliato con una veste fredda, di pura razionalità tipicamente documentaristica. Si recupera in questa terza stagione di Caccia ai killer un racconto antico, privo di spettacolarizzazione dell'orrido, o di quell'enfasi narrativa giocata su un montaggio dinamico capace di giustapporre materiali di repertorio e confessioni scioccanti.

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Caccia ai Killer 3: una scena

Ma in un contesto spettatoriale fatto di un pubblico ormai abituato a prodotti sia di finzione (si pensi a crime-series come Mindhunter) che documentaristici (innumerevoli i titoli riscontrabili sulla stessa piattaforma Netflix) di alto livello, la posta in gioco si fa elevata, alzando sempre più l'asticella delle aspettative e della qualità richiesta. Ecco perché Caccia ai killer risulta quasi obsoleto, fuori tempo massimo; quella qui proposta è un'opera che raccoglie consensi e interesse più che nella dinamica dell'inseguimento dei killer, la rivelazione della loro identità, andando a tradire il tema principale alla base dell'opera.

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Caccia ai Killer 3: una scena

Sa di prodotto inizio anni Duemila, Caccia ai killer: lontano dagli standard vantati dai documentari firmati Netflix degli ultimi anni, anche questa stagione reitera gli errori delle precedenti, allineandosi a un canovaccio preso in prestito da una puntata à la CSI. Nessuna corsa; nessuna marcia; il passo scelto per questa caccia non è spedito, ma lento; come un maratoneta fuori allenamento deciso a finire la propria gara, così Caccia ai killer tenta di colpire inutilmente il proprio pubblico, ma lo fa a passo sostenuto, leggero, senza forze. E così, quella voglia di lasciare un segno all'interno di spettatori abituati a sprint fulminei di menti che ricordano, e memorie macchiate di sangue, cade nel vuoto, come una pistola dalla mano nell'assassino colto in flagrante sulla scena del crimine.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione della terza stagione di Caccia ai killer sottolineando come la docu-serie firmata Netflix nonostante la potenza intrinseca agli eventi narrati, vada a tradire il senso stesso del progetto, tralasciando l'angoscia e l'adrenalina degli inseguimenti, a favore di un non troppo celato elogio alle forze dell'ordine e alle squadro d'assalto qui coinvolte.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
5.0/5

Perché ci piace

  • La potenza macabra degli eventi qui narrati.
  • La scelta di puntare su una narrazione antologica.

Cosa non va

  • La scelta di escludere i famigliari delle vittime come testimoni diretti.
  • L'uso di poco materiale di repertorio.
  • L'uso di continue ricostruzioni in studio degli eventi narrati.
  • Il senso elegiaco nei confronti delle forze dell'ordine che tradisce tutto il senso dell'opera.