Buio è una delle sorprese di quest'anno, così come lo è la sua autrice Emanuela Rossi, recentemente premiata anche ai Nastri d'argento per il suggestivo soggetto del suo lavoro, disponibile prima in streaming dal 7 maggio e successivamente anche in sala nonostante il difficile e surreale periodo che stiamo vivendo. Un soggetto in cui riecheggia anche la nostra attualità, perché racconta di tre sorelle, Stella, Luce e Aria, che vivono rinchiuse in casa dopo la morte della madre per volere del padre, l'unico della famiglia che può avventurarsi all'esterno, in un realtà che dice essere apocalittica.
Una suggestione interessantissima che dà vita a un film prezioso, che abbiamo cercato di approfondire in una chiacchierata con la sceneggiatrice e regista Emanuela Rossi, chiedendole sia dello spunto iniziale della storia che ha raccontato, che il lavoro fatto dal punto di vista visivo e col cast. Una chiacchierata che non poteva che partire dall'attualità, dalla anomala promozione di stampa quasi teatrale che la Rossi sta vivendo per accompagnare la sua creatura nelle poche sale aperte e presentarlo al pubblico.
Tra realismo e distopia
L'emergenza che abbiamo vissuto ha costretto il film a un cammino particolare in sala. Come stai vivendo questo periodo di promozione diverso dal consueto?
Beh, ammettiamolo. Questo periodo è davvero "sperimentale" e tutti noi ci stiamo inventando il modo per affrontarlo. Dopo la vittoria ad Alice nella città lo scorso ottobre mi sono mossa parecchio su facebook in tempo di lockdown, semplicemente comunicando quello che era successo, e poi promuovendo l'uscita su Mymovies. Fortunatamente i critici l'hanno amato, hanno cominciato ad esserci bellissime recensioni come quella di Piera Detassis e di Concita de Gregorio sui principali magazines nazionali, quindi è stato facile attirare l'attenzione. Molte di queste recensioni sono arrivate spontaneamente, perché il film piaceva, anche se avevamo un ufficio stampa. Molto importante è stata l'intuizione del produttore Claudio Corbucci di uscire on line insieme a tanti cinema sul territorio nazionale, sia pure virtualmente, ha creato un bel movimento. Grazie alla Artex e ad Antonio Carloni direttore commerciale è stato possibile anche a livello pratico. Da poco siamo passati alla fase "arene estive" e sale cinematografiche. E' complessa, un film indipendente non riesce ad ottenere tante sale, stiamo uscendo in Italia in modo non omogeneo ma a macchia di leopardo. Il 15 luglio a Milano all'arena Martinitt Milano est (400 posti effettivi Covid), a Roma il 16 al cinema Farnese e poi tante altre date. Però siamo contenti. Sta andando bene.
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Com'è nata l'idea per Buio? Che suggestioni avevi in mente quando l'hai scritto?
Problemi ambientali. Soffocamento. Ma non vi accorgete del caldo che fa? Se un giorno non potessimo più uscire, che succederebbe alla gente bloccata in casa? Che deformazioni della psiche subirebbe? Ovvio che poi in questo film c'è altro, c'è una mia idea un po' alienata dell'istituzione familiare, c'è qualcosa di Lanthimos, c'è una riflessione amara sul consumismo e sulla disperazione di un mondo ridotto a supermercati e centri commerciali... C'è il problema delle donne solo apparentemente libere... Nel film c'è una parte distopica e una più realistica. Per me la più distopica è quella più realistica.
La costruzione di Buio
Che tipo di scelte hai fatto per la componente visiva, per le luci e i colori del film? È stato difficile trovare le location giuste per la tua storia? E come hai lavorato sulle scenografie e gli spazi?
La preparazione del film è durata 10 giorni. Pochissimo per via del budget, ma... La scelta della casa è stata un po' sofferta, ero indecisa tra un ambiente apocalittico, tipo fabbrica abbandonata oppure una casa antica. O magari pure una casa normale, seppure isolata. Alla fine ho scelto la casa antica perché mi piaceva giocare con il genere, e questa scelta portava subito in questo territorio. Una casa più normale avrebbe dato un'impostazione più realistica al film, forse più drammatica, più autoriale ma io mi ero ripromessa di uscire un attimo dai canoni visivi del cinema d'autore italiano. Volevo fare il crossover di generi. Una casa più apocalittica era un'opzione, ma mi ero ripromessa di giocare anche un po' con la fiaba, con le belle principessine chiuse nel castello. In questo senso, ho indirizzato anche la scenografia di Massimo Santomarco, la fotografia di Marco Graziaplena e i costumi di Carola Fenocchio. Non cercavo l'orrore, ma la bellezza. Non i colori lividi ma accessi. Sono convinta che si cerchi la bellezza sempre, anche in un contesto difficile. E poi i colori sono salvifici. Lo diceva anche Goethe.
Com'è stato invece il lavoro con il cast di Buio?
Molto bello. Questo è il cuore del film. Mentre con la casa siamo andati veloci, con le ragazze sono andata lenta. Lentissima. Con le più grandi, Denise Tantucci/Stella e Gaia Bocci/Luce, dopo averle scelte, è iniziato un minimale lavoro di conoscenza, di avvicinamento. Per cinque mesi sono andata spesso da Roma a Milano e Torino dove vivono per incontrarle e costruire con loro i personaggi. Un lavoro che ho voluto partisse da loro, non da me. Poi mi premeva che fossero sempre loro due insieme, mai una alla volta, perché l'obbiettivo era la sorellanza, il senso di famiglia che si doveva creare. Ovvio, Denise doveva un po' occuparsi di Gaia, perché era più grande. E tutte e due dovevano occuparsi della piccola, Olimpia Tosatto/Aria, di quattro anni, che è arrivata dopo: ovviamente con lei niente prove, era perfetta così! Con Valerio Binasco, è stato diverso. Per impegni lavorativi è arrivato più tardi, a ridosso del film, è stato amore intellettuale a prima vista. Che personalità, che cultura! E' come se avesse portato il logos in una situazione che fino a quel momento era quasi senza parole, più emozionale. Allora si è cominciato a parlare del film. Prima eravamo tre ragazze che si raccontavano un po' la loro vita, e quella di Stella e Luce...
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Il messaggio ambieltalista
Quanto è importante per te l'aspetto ambientalista presente nel film?
Lo dicevo prima, il problema climatico ed ambientale per me è dirimente. L'altro giorno, a luglio, 38 gradi in Alaska, come andrà a finire questa storia? Il Covid è il nostro più problema? O forse ci confondiamo sulle priorità? Ma ora in tempo Covid dell'ambiente non gliene frega più niente a nessuno, purtroppo. Ballard nel 1962 scrisse un libro sul fatto che un bel giorno per via del caldo i ghiacci si sarebbero sciolti e con tutte le terre sommerse si sarebbe vissuti dentro casa o sulle zattere. Io sono una sua umile discepola, anche se l'ho letto dopo aver girato il film. Però mi è sempre piaciuta la distopia. Da ragazzina ero l'unica persona che conoscessi che leggesse Philippe Dick. Chi ha un malessere esistenziale, credo sia in sintonia con questi temi. Spero comunque che l'uomo vada avanti e trovi la soluzione.
Chiudiamo sul recente successo ai Nastri d'argento, una conferma della bontà del lavoro fatto. Hai già qualcosa in cantiere per proseguire questo cammino?
Beh per un film così indipendente, ritmi lenti - con forti commistioni nel genere, il Padre con lo scafandro, duro e puro, femminile se non femminista e fatto pure da una donna - prendere un premio così è una grande vittoria, sì! Bellissimo! Ora sto scrivendo un soggetto molto forte che al momento si chiama Eva. Un film ancora una volta che guarda al prossimo futuro con un personaggio femminile molto forte... ma ovvio non posso dire di più!