Bread and Roses, minuto dopo minuto, ha la capacità di smascherare i paradigmi legati alla democrazia e alla libertà tanto decantati dagli americani. Di più, ha la capacità di sottolineare quanto Joe Biden sia (stato), a conti fatti, il peggior presidente democratico in tutta la storia degli Stati Uniti d'America (e tra i peggiori in assoluto, ça va sans dire). Perché il documentario, diretto da Sahra Mani, nasce - pensate un po' - dall'esigenza sociale e politica di Jennifer Lawrence (produttrice, insieme a Justine Ciarrocchi) che, per sua stessa ammissione, si è sentita "impotente" davanti la fuga degli States dall'Afghanistan dopo due decenni di "lotta al terrore". Lasciando il Paese in mano (e di nuovo) al regime talebano.
Abbastanza significativa la produzione, in tal senso, portata avanti dall'attrice premio Oscar: secondo lei, l'informazione Occidentale, rispetto alla terribile notizia e alle terribili immagini, ha filtrato in modo fuorviante l'evento, che di fatto ha tradito l'impegno degli Stati Uniti portato avanti per vent'anni, sia verso Kabul che verso la propria rinomata bandiera. Doveva quindi esserci una riflessione più approfondita, più oggettiva, più reale. Una ricerca della verità che, come ben sappiamo, non può dipendere dai canonici mezzi d'informazione (fin troppo benevoli e poco lucidi, nonché indirizzati da un forte interesse), ma che invece può trovare la sua forma migliore grazie al cinema. E in questo caso grazie alla forma documentaristica portata avanti dall'afghana Sahra Mani, scelta dalla produzione dopo aver visto il precedente lavoro, ossia A Thousand Girls Like Me, incentrato su una donna violentata (ed è drammaticamente noto che il regime talebano non consideri gli abusi sessuali come crimini, avendo istaurato un apartheid di genere).
Bread and Roses, all'interno del regime talebano
Presentato a Cannes, e impreziosito da Malala Yousafzai come produttrice esecutiva, Bread and Roses mostra essenzialmente, e in modo spietato e brutale (senza filtri, appunto, ma con necessaria oggettività), la fine dell'occupazione americana e il successivo ritorno dei talebani, azzerando le donne di qualsiasi diritto. Nel farlo, il documentario segue tre protagoniste: Sharifa, a cui è vietato uscire di casa (nonostante prima fosse una dipendente statale); Zahra, costretta a chiudere il suo studio dentistico, e poi arrestata e torturata per aver messo in moto un movimento di protesta; Taranom, attivista rifugiata in Pakistan. Se il montaggio dell'iraniana Hayedeh Safiyari è fondamentale, la sfida di Bread & Roses diventa parte attiva delle stesse protagoniste, in quanto Sharifa, Zahara e Taranom hanno ripreso in prima persona molte delle sequenze che vediamo nell'opera (supportate, per quanto possibile, dalla sparuta presenza di un cameraman aggiuntivo).
Oltre il senso critico di un'opera potentissima
Complicato, e anche abbastanza inutile giudicare Bread and Roses seguendo i classici canoni di una classica recensione: l'opera infatti esula qualsiasi opinione soggettiva legata alla struttura filmica, divenendo invece racconto di nevralgica importanza, sia sociale che politica, travalicando la stessa concezione legata al cinema e all'arte. La visione, e in particolar modo il finale (ovviamente sospeso, essendo questa una Storia tristemente in divenire), suscita rabbia e indignazione, nonché una rinnovata impotenza rispetto alla situazione, innescata coscientemente dagli Stati Uniti: dal 7 ottobre 2001 al 30 agosto 2021, per un'effimera occupazione che, nel giro di pochi giorni, ha riportato Kabul all'esatto punto di partenza (se non peggio). Un po' come avvenuto in un'altra disfatta: quella del Vietnam.
Una questione di "scelta", dirà poi l'amministrazione Biden, lasciando campo aperto al regime medievale dei talebani, che Sahra Mani osserva da una prospettiva inedita e, se vogliamo, ancora più terrificante. Per questo, e nello stringato timing di novanta minuti (bastano avanzano, quando c'è una tale potenza narrativa), la domanda che arriva dinamitarda è la stessa che si è posta il premio Nobel Malala: dove accidenti sono i leader mondiali? Dov'è la loro voce in contrasto al regime, e a favore dei diritti delle donne afghane? Dov'è la loro presa di posizione, tangibile ed esaustiva? Semplicemente, non ci sono. Assertivi e asserviti verso un ridicolo status quo, dimenticando quei valori prima "esportati" e poi, di comodo, volutamente calpestati.
Conclusioni
Cinque stelle, il massimo dei voti, per un'opera che non può prescindere dalla critica, né tantomeno dal giudizio soggettivo. Bread and Roses è documentazione oggettiva e potente dello stato attuale delle donne afghane, ghettizzate e violentate (di nuovo) dal regime talebano dopo la fuga degli Stati Uniti. Un punto di vista nuovo, intimo, terrificante, e di necessaria forza visiva. Da vedere, interrogandosi sullo stato attuale di un'Occidente sconfitto.
Perché ci piace
- Lo spunto inedito.
- La necessità di scegliere l'oggettività.
- La presa di posizione di Jennifer Lawrence.
- Il finale, nella sua tragicità.
Cosa non va
- Non possiamo segnalare elementi negativi.