Scatenato come un film dei fratelli Coen, sottile come l'ironia di Charlie Kaufman. La nostra recensione di Botox vuole celebrare il felice esordio di Kaveh Mazaheri che, con la sua opera prima premiata come miglior film al Torino Film Festival 2020, conferma una volta di più - come se ce ne fosse bisogno - la vitalità e l'originalità nello sguardo del cinema iraniano. Una storia familiare irriverente e amorale condita con una buona dose di black humor che, dietro la natura rocambolesca, nasconde una profonda riflessione sulla percezione della disabilità vissuta da chi ne è afflitto e anche da coloro che gli stanno intorno.
Protagonisti di Botox sono tre fratelli. La maggiore, Akram, soffre di un ritardo cognitivo che la costringe a essere controllata a vista dalla sorella minore, la spregiudicata Azar, e dal fratello Emad che fa pesare la sua autorità di unico maschio della famiglia. Per arrotondare, Azar decide di affittare parte della casa di famiglia a un misterioso "ingegnere dei funghi" che progetta di avviare una piantagione di funghi allucinogeni da immettere sul mercato della droga. Manca l'autorizzazione di Emad, necessaria perché il progetto vada in porto, ma in seguito a un incidente l'uomo muore. Le due sorelle decidono di far finta di niente spargendo la voce che Emad le ha lasciate per emigrare all'estero.
La voglia di evasione si cela dietro la dimensione umoristica
Svelare troppo della trama di Botox guasterebbe la visione al pubblico visto che il film è ricco di colpi di scena e svolte impreviste dovute principalmente ai gesti inconsulti di Akram. Vera e propria mina vagante, Akram (interpretata da un'irresistibile Sussan Parvar) sconvolge costantemente l'esistenza dei fratelli con i suoi comportamenti bizzarri dovuti a una qualche forme di autismo. I suoi lunghi silenzi sono interrotti da improvvisi scoppi d'ira, reazione alle prese in giro del tirannico fratello o degli altri parenti. Il suo personaggio, ispirato da una vera familiare di Kaveh Mazaheri con cui il regista ha vissuto a lungo, innesca gli eventi cardine del racconto dando vita a gustosi siparietti.
Va detto però che lo humor di Botox è amaro e nasconde sempre un risvolto tragico. La voglia di Emad di fuggire all'estero cela il peso delle privazioni di libertà dovute alla presenza di un regime totalitario, il nervosismo di Akram è conseguenza delle continue umiliazioni a cui la sua condizione la sottopone mentre i sotterfugi e le menzogne di Azar, mente del trio, sono dovuti alla voglia di realizzarsi sfidando la condizione di inferiorità in cui tutt'ora vive la donna iraniana. Al personaggio di Azar, ottimamente interpretato da Mahdokht Molaei, è legato anche il titolo del film, Botox, visto che lei lavora in un centro estetico in cui vengono praticate le iniezioni di botulino. E la voglia di restyling è il filo conduttore di una storia in cui tutti i personaggi lottano per cambiare in meglio il corso delle proprie esistenze insoddisfacenti.
Lo sguardo inedito di un regista promettente
Narrativamente vivace e visivamente intrigante, Botox fornisce a Kaveh Mazaheri l'occasione per offrirci scorci inediti dell'Iran che esulano dalla dimensione cittadina. Location come la strada d'asfalto incorniciata da rocce che conduce nel centro o il lago salato, immenso e bianchissimo, ripresi con suggestivi campi lunghissimi, rappresentato momenti di puro lirismo in cui il regista concede ai personaggi lo spazio per restare soli coi propri pensieri di fronte alla frenesia del quotidiano. Va detto che, pur essendo alla prima prova nel lungometraggio, Kaveh Mazaheri si dimostra in grado di padroneggiare la storia mantenendo il controllo anche quando la commedia familiare vira in direzione del thriller. Nell'ultima parte del film gli eventi si diradano così, oltre alle scaramucce tra Akram e Azar, a tener viva la tensione ci pensano alcune incursioni nella dimensione onirica che rendono il tutto più gustoso, preludio a un finale decisamente fantasioso.
Torino 2020: trionfo per Botox, a Sin Senas Particulares il premio speciale della giuria
Conclusioni
Tra commedia nera e thriller, la recensione di Botox evidenza i numerosi pregi dell'irresistibile esordio di Kaveh Mazaheri che usa una storia familiare come spunto per toccare temi come la mancanza di libertà, la disabilità e la lotta per l'emancipazione femminile in Iran. Intenti nobili pervasi da una patina di humor amaro che rende più speziati i rapporti tra i tre fratelli protagonisti della storia e in particolare della mina vagante Akram, i coi improbabili comportamenti fungono da motore della vicenda.
Perché ci piace
- Film ricco di humor nero che nasconde un messaggio importante denunciando temi come la mancanza di libertà e la condizione della donna in Iran.
- La scelta di porre al centro della storia l'imprevedibile Akran è un modo originale e delicato per raccontare la disabilità in modo inedito.
- Cast assolutamente in parte, il film vive delle interpretazioni e dell'alchimia tra gli interpreti principali.
Cosa non va
- La narrazione, nella parte che prelude al finale, si rarefa, forse per mancanza di idee forti come nella prima parte.
- Le sequenze oniriche rappresentano uno stacco rispetto alla realtà iraniana creando una sorta di risveglio rispetto alla dimensione narrativa iraniana.