Poche immagini rimangono impresse come quella dell'orologio della stazione di Bologna, fermo perennemente alle 10:25, ora in cui, in una giornata d'estate di trentaquattro anni fa, si compì una delle stragi più efferate del Dopoguerra, in cui persero la vita ottantacinque persone ed oltre 200 rimasero ferite. Il film di Giorgio Molteni e Daniele Santamaria Maurizio, Bologna 2 Agosto...i giorni della collera, racconta l'escalation di orrore che portò al fatidico giorno, provando a restituirci il senso di paura che si viveva allora.
Sebbene i mandanti non siano stati individuati, gli inquirenti hanno ricondotto l'attentato a Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, appartenenti ai NAR, un gruppo terroristico di estrema destra. Proprio la nascita di questa organizzazione, creata da elementi fuoriusciti dal Movimento Sociale Italiano, è l'asse portante della pellicola, assieme alla letale collaborazione son servizi segreti deviati e Massoneria. Nella presentazione romana, in vista dell'uscita del 29 maggio prossimo (50 copie con la Telecomp Planet Film Production), registi e cast, tra cui figurano Martina Colombari e Lorenzo Flaherty, hanno risposto alle domande dei giornalisti.
La storia
2 agosto, 10:25. Una bomba distrugge le sale d'aspetto di prima e seconda classe della stazione del capoluogo emiliano, travolgendo anche il treno Ancona - Chiasso in sosta al binario 1. Questa al momento è l'unica tragica verità che è stata accertata, visto che negli anni successivi le indagini giudiziarie non hanno reso giustizia ai familiari delle vittime, tra insabbiamenti e depistaggi. "I protagonisti non compaiono con i loro veri nomi - ha spiegato Daniele Santamaria Maurizio - perché volevamo ricostruire la vicenda processuale senza dover chiedere alcun permesso ai diretti interessati; questo è anche il motivo per cui assieme allo sceneggiatore, Fernando Felli, abbiamo inserito anche dei personaggi di fantasia. Ecco, non volevamo correre il rischio di dire delle false verità, né di prendere posizioni colpevoliste o innocentiste".
Volevamo rappresentare un fatto mai sfiorato dal cinema
Ha aggiunto Santamaria Maurizio, "Anche per arrivare a tutte quelle persone, e penso in particolare ai giovani, che di quei momenti non sanno assolutamente nulla. Spieghiamo che non si può seguire un'ideologia di sinistra o di destra e diventare assassini. Non è certamente un'urgenza, questa, ma sentivamo di dover rendere conto agli spettatori di quei fatti".
Lo stile e la libertà
Per raccontare quella che il presidente Sandro Pertini definì come "l'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia", il duo di registi ha volutamente fatto ricorso ad uno stile semplice, lineare, utilizzando del materiale di repertorio per sottolineare i momenti più tragici. "Questo è un tipo di cinema che si fa molto raramente oggi - ha spiegato Molteni -. Bisogna riuscire a catturare l'attenzione del pubblico semplice, rompendo il clima soporifero che sta caratterizzando la produzione culturale del cinema. Non è un caso che il film sia stato prodotto da con soldi privati, senza aiuti, senza compromessi. E' inutile girarci intorno, il cinema italiano non è libero. Se fai un film, devi rendere conto a qualcuno, altrimenti rischi di smettere di lavorare. Noi abbiamo registi di grande valore, forse non hanno mai voluto imbarcarsi in un'operazione del genere perché non hanno trovato la libertà artistica di farlo. Questa è un pagina delicata della nostra storia, complicata, piena di trabocchetti. O siamo più incoscienti o più bravi".
Un anno di preparazione, tra incoscienza volontà e coraggio
Inutile sottolineare quanto sia importante in un lavoro del genere, lo studio scrupolo della storiografia processuale. "Ho studiato per un anno tutto il materiale possibile - ha aggiunto Santamaria Maurizio -, tenendo ben presente che la nostra intenzione non era quella di trovare piste alternative, sostituendoci ai magistrati o alle commissioni d'inchiesta che si sono succedute negli anni. Rimuovete il segreto di Stato e ne sapremo di più. Solo quando gli armadi saranno aperti, potremmo esprimerci con certezza, rimuoviamo le serrature". "Un film non può dire la verità - gli ha fatto eco Molteni -, sarebbe un'idea buffa e presuntuosa; il cinema, semmai, serve a risollevare le coscienze e a ricondurre l'attenzione verso la cosa pubblica".
La parola agli attori
Martina Colombari veste i panni di una reporter locale che nel suo dossier giornalistico prova a delineare il quadro in cui l'attentato si è concretizzato, pagando con la vita il suo impegno professionale, un personaggio di fantasia che tuttavia l'ha toccata molto da vicino. "La notizia della morte del fotografo Andy Rocchelli (fotografo italiano ucciso in Ucraina, ndr) mi ha sconvolta - ha raccontato l'interprete romagnola -, eravamo insieme ad Haiti lo scorso anno. Andy, come del resto il mio personaggio, Cinzia, sanno che non si può raccontare a distanza e si mettono in gioco fino in fondo. E' stato doloroso lavorare a questo film; ero piccola in quegli anni, ma quel giorno perse la vita una ragazza di Rimini, Flavia Casadei, e i nostri genitori ci spiegarono cosa vuol dire morire se sei innocente".
Confrontarsi con un alter ego come Giusva Fioravanti (nel film è Alverio Fiori) non è stato facile per il giovane interprete, Giuseppe Maggio. "Ho letto un libro su di lui - ha rivelato - e quello che mi ha colpito è vedere come sia arrivato ad unirsi a dei gruppi terroristici. Reagì con violenza all'incendio della macchina di sua madre, a quanto pare per mano di estremisti di sinistra. Rispose con violenza ad altra violenza, era l'espressione del suo tempo". Emozionata e sorridente, Marika Frassino, ovvero Francesca Mambro - Antonella De Campo, ha parlato così della sua prima esperienza sul set. "Mi ha molto colpito il fatto che fossero tutti affetti da una smania di protagonismo - ha spiegato - non avevano un obiettivo da raggiungere o una logica politica".
Le reazioni del pubblico
Come già avvenuto per altri film dedicati a personaggi controversi della nostra storia (La prima linea di Renato De Maria, sui brigatisti di Prima Linea, Sergio Segio e Susanna Ronconi), il timore è quello di poter urtare la suscettibilità delle vittime, proponendo dei personaggi in qualche modo affascinanti. "Non è proprio questo il caso - ha detto Molteni -, qui la regia ha lavorato in modo tale da non creare alcuna simpatia tra personaggi e pubblico e quando i protagonisti fanno una brutta fine, beh nessuno si dispiacerà".