Nel 1997 anche la Corea del Sud fu vittima della crisi finanziaria che ha colpito molti Paesi dell'Asia. Proprio per questo motivo molti decisero di emigrare all'estero, come la famiglia dell'allora diciannovenne Guk-hee, il cui sogno di trasferirsi negli Stati Uniti si è fermato in quella che doveva essere secondo le intenzioni soltanto una tappa intermedia, ovvero la Colombia.
A Bogotà i nuovi arrivati sono costretti a sopravvivere alla giornata e sempre sotto l'ala protettiva del sergente Park, ex commilitone del padre e figura di potere all'interno delle dinamiche, sociali e criminali, locali. Dopo essersi guadagnato la fiducia dl boss, Guk-hee inizia a guadagnarsi sempre più spazio nelle logiche del contrabbando e la sua scalata al potere lo vedrà prendere scelte dolorose, che potrebbero cambiare radicalmente il destino della comunità coreana in città.
Bogotà: tra sogni e realtà
Una storia di migranti che si ritrovano invischiati in un mondo criminale quando la società non lascia loro altre alternative. E il protagonista si trova così a tentare di raggiungere quel sesto mondo, ciclo di esistenza del buddismo che equivale allo stadio più alto, qui trasmutato dai ricchi e potenti in uno status di beatitudine raggiungibile esclusivamente tramite la violenza e l'illegalità.
Una scalata criminale ricca di potenziali spunti, che finisce però per perdersi sotto il peso delle proprie ambizioni e nell'eccessiva frammentazione del racconto, con gli anni che scorrono troppo velocemente - tramite scritte in sovrimpressione ad avanzare cronologicamente l'ambientazione - e quel costante voice-over da parte di Guk-hee che non lascia nulla all'immaginazione, coprendo anche i passaggi poco chiari o saltati a priori, ma senza al contempo permetterci di entrare in comunione con il personaggio.
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Niente di nuovo sotto il sole di Bogotà
Un gangster-movie come tanti altri, con giusto una manciata di sequenze d'azione a ringalluzzire il comparto spettacolare, senza comunque catturare appieno il fascino di Bogotà. Un difetto parzialmente imputabile all'interruzione delle riprese quando si era al 40% del girato per via delle restrizioni imposte dalla pandemia di Covid-19, con il film poi ultimato in Corea: ne è conseguito un risultato finale ovviamente monco, che deve aver influito anche sulla narrazione stessa.
Ma oltre alle location a mancare sono anche figure degne di nota, a cominciare proprio dallo stesso protagonista interpretato da Song Joong-ki che, quasi quarantenne, si trova a vestire i panni di un personaggio poco più che adolescente, pur con la parziale giustificazione di invecchiare nel corso del racconto. Un casting poco ispirato, dove a brillare maggiormente è un cavallo di razza come Kwon Hae-hyo, nelle vesti di mentore e boss.
Una spietata lotta per la sopravvivenza
Sin dalla rapina iniziale, con un motociclista armato di pistola che ruba la borsa contenente i risparmi di una vita, si comprende come la vita per Guk-hee e i suoi cari non sarà per nulla semplice. Peccato che proprio le dinamiche familiari vengano ignorate per gran parte della visione salvo poi tornare utili all'occasione per dei risvolti forzati, una scelta che castra e non poco l'impatto emozionale del racconto e rende il tutto profondamente anaffettivo.
Il percorso di crescita personale nel mondo della malavita, per di più da "straniero in terra straniera", viene così sacrificato a un'evoluzione didascalica, senza sussulti emozionali di sorta che possano portare il pubblico a identificarsi e/o parteggiare per qualcuno, in un gioco criminale via via sempre più torbido, dove nessuno può fidarsi di nessuno. E dove proprio la cucaracha (scarafaggio in spagnolo) è il solo animale capace di sopravvivere alle mutazioni delle epoche, per migliaia di anni, a metafora di come bisogna trasformarsi in un essere riprovevole per sopravvivere in un mondo di incognite.
Conclusioni
Arrivato in Colombia alla fine degli anni Novanta, in fuga con la sua famiglia dalla crisi economica che ha colpito la Corea, il giovane Guk-hee si fa progressivamente strada nel sottobosco criminale cittadino. Una scalata al potere che non farà sconti a lui e alle persone care , ma che lo vedrà a sua volta spietato protagonista. Thriller di produzione coreana girato per buona parte in terra sudamericana, Bogotà è un gangster-movie fin troppo superficiale nel dar vita a personaggi ed eventi, che si susseguono senza veri e propri sussulti per i cento e rotti minuti di visione. Un paio di scene d'azione poco possono per imprimere la giusta verve spettacolare, con la tensione di genere che viene meno non appena compresa la schematicità dell'assunto e delle relazioni tra i vari contendenti.
Perché ci piace
- Una trama e relativa ambientazione sulla carta cariche di potenzialità...
Cosa non va
- ...non sfruttate appieno da una sceneggiatura frettolosa.
- Personaggi poco ispirati.
- Emozioni e tensione latitano più del previsto.