Il caos serale di Times Square nasconde qualcosa di molto sospetto. Si, perché nel cuore affollato e distratto di New York viene ritrovato un borsone lasciato incustodito. L'oggetto è ritenuto potenzialmente pericoloso, tanto da richiedere l'immediato intervento di un artificiere che si trova di fronte a qualcosa di sorprendente. Un'etichetta invita a "chiamare l'FBI" mentre dall'interno del borsone qualcosa inizia a muoversi lasciando intravedere un braccio che apre la cerniera dall'interno.
Il pericolo si tramuta in mistero, un'ipotetica bomba non è altro che una donna totalmente priva di memoria, smarrita e traumatizzata da chissà cosa. Nuda e ricoperta da una fitta rete di tatuaggi dove disegni e scritte si sovrappongono e intersecano, la ragazza viene accolta dai federali, i quali scoprono l'origine del suo vuoto mentale: una proteina che inibisce i ricordi e produce una vera e propria amnesia chimica. Come se non bastasse, si intuisce subito che i disegni sulla pelle di Jane sono indizi di imminenti disgrazie. Ecco perché tra i vari tatuaggi sulla sua schiena emerge il nome dell'agente Kurt Weller, subito chiamato in causa per decifrare questa catena di strani eventi.
Effetto valanga
Le premesse di Blindspot non hanno tempo da perdere e in pochi minuti appare subito chiaro quale sia il mistero da risolvere e chi sarà chiamato a farlo. Un'immediatezza narrativa supportata da un ritmo fluido e una regia dinamica, capaci di intrattenere per quarantatré minuti pieni di domande e (forse) troppe risposte. In alcuni frangenti si ha l'impressione di una certa frettolosità, non solo nello sviluppo della trama, quanto nella composizione dei caratteri dei personaggi, per ora solo abbozzati e lasciati nelle mani di due volenterosi attori emergenti. Jaimie Alexander (lanciata dal Marvel Cinematic Universe con Thor e Agents of S.H.I.E.L.D.) e Sullivan Stapleton (il Temistocle apprezzato nel recente 300 - L'alba di un impero). I due si sforzano di dare ai protagonisti una buona dose di carisma scenico attraverso un'alchimia altalenante. Infatti, se Alexander, a tratti leggermente forzata, riesce a trovare un difficile equilibrio tra fragilità e forza, Stapelton risulta rinchiuso nel dovere di apparire risoluto a tutti i costi. Questo aspetto, unito ad un incedere pressoché ininterrotto, rende palesi gli intenti della serie, decisamente propensa a fare di un plot articolato e dinamico il suo punto di forza, a furia di indagini, caccie all'uomo e colpi di scena. All'interno di questa valanga di eventi, i personaggi sono quello che fanno, senza un particolare studio del loro passato. Ad eccezione di Jane, naturalmente. Il che la pone per forza di cose al centro del nostro interesse di spettatori. Lei è la chiave di tutto, il motore della storia, il mistero nudo, ma ancora da svelare.
The Jane Identity
Dopo l'addio dell'ottimo Hannibal e il consenso ottenuto da The Blacklist, Blindspot si presenta come un prodotto su cui la NBC deve per forza puntare. Lo confermano la scelta del cast, il martellante lavoro di marketing svolto negli Stati Uniti e l'utilizzo di una dinamica consolidata proprio in The Blacklist; una specie di "usato sicuro" che può anche funzionare, ma ha il sapore del già visto. Anche qui, come nel caso di Elizabeth Keen e Raymond Reddington, abbiamo un personaggio che funge da deus ex machina e un altro che ne viene irrimediabilmente coinvolto. Al di là di questo evidente déjà vu, sono tante le idee che appaiono riciclate e rimestate sotto una nuova veste. Un protagonista immemore, che scopre pian piano tracce del suo passato, richiama tante produzioni passate (la saga cinematografica di Bourne Identity su tutte), così come l'idea del tatuaggio come mappa da interpretare per procedere nella storia, presa in prestito da Prison Break. Insomma, quello della memoria a lungo termine non è un problema degli sceneggiatori di Blindspot, creatori di una serie che appare fortemente derivativa. La necessità di ricordare non riguarda solo la smarrita Jane, ma anche un prodotto fortemente orientato al passato. Questo perché la premiere sembra l'incipit di una serie di dieci anni fa, ancora imbevuta di quel legittimo timore di vulnerabilità post 11 settembre che ha caratterizzato prodotti eccezionali come 24. E allora, ancora una volta ci ritroviamo nei luoghi adibiti ad ospitare la minaccia (la metropolitana), a rincorrere criminali arrabbiati con gli Stati Uniti pur di difendere un simbolo newyorkese: la Statua della Libertà. Un richiamo forse metaforico che potrebbe ribadisce la centralità di un personaggio femminile da proteggere, ma anche rispettare.
Eroina o marionetta?
Uno degli elementi più interessanti di Blindspot riguarda proprio il modo in cui Jane dovrà rimettere insieme i cocci del suo passato. L'idea di ripartire dalle scelte nel presente e non tanto dal ricordo di quello che le è successo, è certamente il tema più profondo proposto finora. Mettersi di fronte ad un bivio per dare forma alla propria identità, come se il libero arbitrio sia più importante di quanto vissuto per definire il carattere di qualcuno. A partire da questo spunto, la narrazione sarà certamente scissa tra i singoli casi da risolvere puntata dopo puntata e la backstory di Jane, gestita attraverso piccole (?) dosi di flashback. Tutti aspetti che fanno di Blindspot un thriller con potenzialità action, coerenti con l'autorialità di Greg Berlanti (con Arrow e The Flash nel suo curriculum). Bisognerà capire se la protagonista verrà trattata da eroina in cerca di riscatto o come pedina al centro di un disegno molto più grande di lei. La strada di Blindspot è tracciata: si andrà di corsa, avanti verso il passato, col rischio che qualcosa o qualcuno si perda per strada.
Movieplayer.it
2.5/5