Due storie diverse e due scenari differenti per i due film presentati in mattinata al Festival di Berlino, accolti in maniera nettamente opposta dalla stampa accreditata. Non è piaciuto il dramma Sleeping Sickness, proiettato nelle prime ore del mattino alla presenza dei giurati, tra cui il presidente Isabella Rossellini. Diretto da Ulrich Köhler - il quale si è ispirato alle esperienze vissute al seguito dei propri genitori - il film racconta la storia di un medico e aid worker che lavora in Africa da trent'anni e porta avanti un progetto sullo studio della malattia del sonno. L'uomo vorrebbe far ritorno in Germania, per seguire sua moglie e sua figlia, ma al tempo stesso teme fortemente di non riuscire a ritrovarsi in un paese che ormai sente estraneo. A raggiungerlo in questo villaggio immerso nella fitta vegetazione, in uno scenario fluviale misterioso quanto ostile, arriva un suo collega francese (ma di origini africane) che è incaricato di valutare l'effettiva necessità del programma sanitario che il dottore vorrebbe sviluppare. Una pellicola a tratti oscura e noiosa, che con un titolo del genere ha "contagiato" il pubblico presente in sala, che alla fine - escudendo qualche timido applauso - gli ha tributato una pioggia di fischi.
Accoglienza differente, dicevamo, per Almanya - presentato fuori concorso, la cui proiezione si è conclusa con ben due applausi convinti - divertentissima commedia familiare diretta da Yasemin Samdereli. Si tratta della storia di una famiglia che al tempo stesso è anche il pretesto per raccontare uno dei tanti aspetti culturali della Germania, oltre che una pagina di storia di questo paese che non sia necessariamente il periodo del Terzo Reich, sfruttatissimo dal cinema tedesco. Una famiglia di origini turche, stabilitasi in Germania ai tempi del boom economico, si ritrova a intraprendere un lungo viaggio nel paese d'origine su richiesta del patriarca. Il viaggio è il pretesto per raccontare il proprio passato alle ultime generazioni, e ritrovarsi oggi, più uniti di prima. Un mix sorprendente di emozioni e flashback spassosi, in cui i protagonisti a tratti interagiscono con la voce narrante.
Ultima pellicola in competizione, per la giornata di oggi è Yelling to the Sky, dramma giovanile di Victoria Mahoney che vede tra gli interpreti Zoe Kravitz e Gabourey Sidibe, rivelatasi lo scorso anno con la sua interpretazione in Precious. Altrettanto convincente il polacco Suicide Room (in originale Sala samobójców) che è stato presentato oggi nella sezione Panorama Special: il film racconta di un ragazzo che nel periodo precedente al diploma superiore vive una serie di esperienze negative, che lo portano ad isolarsi e rifugiarsi nel mondo virtuale delle community online, trovando supporto in un gruppo di ragazzi depressi ed in particolare in una di loro, Silvya, che cambiano il suo atteggiamento nei confronti della vita. Come in altri film di questo tipo, il regista cerca di dare una rappresentazione visiva del mondo delle community online, che come in altri casi si discosta dalla realtà di questi ambienti, ma riesce in qualche modo a trasmetterne le sensazioni.
Spazio al web anche per il documentario Life in a Day, diretto da Kevin MacDonald (premiato con l'Oscar per Un giorno a settembre, nel 2000) ma in questo caso dal punto di vista realizzativo. Life in a day è una gigantesca operazione di cinema-globale che ha coinvolto ottantamila persone provenienti da 197 paesi diversi che hanno preso parte al progetto filmando un singolo giorno della loro vita, il 24 luglio 2010, e poi caricando su YouTube il loro video. Il risultato è stato un film di 90 minuti montato magistralmente da Joe Walker e prodotto dalla Scott Free, la casa di produzione inglese di Tony e Ridley Scott, il film è un meraviglioso collage di vita vissuta che a ritmo di musica amalgama in un'unica grande storia miliardi di storie diverse vissute in ogni angolo del pianeta.
La terza giornata di Festival, oltre al susseguirsi di eventi cinematografici, è l'occasione per far sentire la propria voce anche in ambito sociale e politico: e così anche qui a Berlino si ricorda l'importanza della manifestazione che domani riunirà nelle piazze italiane (e non solo) tutte le donne sotto lo slogan Se non ora quando?, ma soprattutto prosegue il sostegno della direzione del Festival per Jafar Panahi, assente in giuria a causa dei suoi problemi con il regime iraniano. Il sito della Berlinale ha pubblicato una toccante lettera aperta del regista nel quale si dice "condannato a vent'anni di silenzio", "costretto a non essere in grado di vedere, pensare e fare film" e si augura naturalmente un futuro di rispetto per la libertà di espressione.