Iniziamo la recensione di Benvenuti a Marwen, nuova umanissima fiaba di Robert Zemeckis, scrivendo che è un film ispirato ad una storia vera che ha dell'incredibile: Mark Hogenkamp è un ex illustratore che, rimasto vittima di una terribile aggressione che lo lasciò emotivamente e cerebralmente danneggiato al punto di non poter più disegnare, iniziò a raccontare il proprio vivace mondo interiore nel cortile della sua casa nei sobborghi di New York, con l'aiuto di una pletora di accessoriatissime bambole.
Così è nato Marwen (o Marwencol, che è anche il titolo del documentario del 2010 dedicato a Hogenkamp), un immaginario villaggio belga dove si asserraglia, al riparo dai nazisti, un valoroso ufficiale della forze stelle e strisce, il capitano Hogie. In questo scenario Mark Hogenkamp piange quel che ha perso di sé, rivive gli eventi che l'hanno devastato, coltiva quel che gli è rimasto, con l'aiuto della sua fantasia e delle persone che gli stanno accanto, che cercano per lui una speranza e un po' di giustizia.
L'esercito delle donne
Robert Zemeckis e Caroline Thompson (sceneggiatrice che ha messo mano, tra le altre cose, ai burtoniani Edward mani di forbice e Nightmare Before Christmas) hanno visto in questa bizzarra vicenda a base di disordine post traumatico e linguaggi immaginativi sperimentali una sfida affascinante: la possibilità di raccontare il rispecchiarsi e l'immergersi tra il mondo interiore e il mondo reale in cui si muove Mark, tra il pub in cui lavora, il negozio di giocattoli dove scova i suoi personaggi, la sua casa-fortino, attraverso un misto di CGI e live action che si rincorrono con una fluidità strabiliante.
Leggi anche: Dagli antieroi dark a Big Eyes: la Top 10 delle migliori performance nel cinema di Tim Burton
Già pioniere della performance capture, Zemeckis si sincera di avere a disposizione, in Steve Carell, uno degli attori più versatili in circolazione e anche uno dei più ricchi di umanità: solo così sarebbe stato possibile avvicinarsi con sufficiente lucidità e compassione a una vicenda tanto dolorosa, e farne un'ambiziosa e rocambolesca avventura cinematografica.
Il mondo immaginifico di Benvenuti a Marwen non è mai distante, non è mai altro dal mondo reale: è al suoi interno, ai suoi piedi, al suo cuore. Un mondo piccolo e pulsante che amplifica ed elabora le paure e le emozioni di una mente caratterizzata da una fragilità e una ingenuità disarmanti.
Perché la seconda guerra mondiale? - Perché quella è una guerra in cui eravamo i buoni.
L'ingenuità che in Benvenuti a Marwen più salta agli occhi della personalità di Hogenkamp risiede la sua visione delle donne: personaggi femminili che lo rassicurano, che in qualche modo si occupano di lui nella vita vera, l'infermiera che lo visita e gli controlla i dosaggi dei medicinali, la dolce proprietaria del negozio di giocattoli, la bella barista con cui lavora, la tostissima fisioterapista, la pin up supersexy, e infine lei, Nicol, la nuova vicina che avrà un ruolo imprevedibile nelle vicende di Marwen, si trasformano in guerriere nel mondo in miniatura assediato dai criminali e dagli orrori del passato. Guerriere sessualizzate dalla libido adolescenziale di Hogenkamp, ma anche figure materne e salvifiche, con l'ulteriore complicazione data dal fatto che anche la fata cattiva, la suadente Deja, è una creatura femminilissima.
Nella mente di Mark, a cui il feticcio delle scarpe femminili è costato tanto caro, la donna, reale o simbolica, è l'unico ponte che si getta tra lui e l'incomunicabile.
Orizzonti di guarigione
Nel raccontare al cinema la storia di Hogenkamp e del suo Marwen, Zemeckis deve necessariamente piegarsi a qualche semplificazione e ad esigenze drammaturgiche che lo portano a dare a Benvenuti a Marwen una struttura canonica al racconto, con il rischio di ridurre l'enormità del trauma subito da Hogenkamp a un ostacolo che è possibile affrontare e persino superare grazie a una fantasia, con la collaborazione affettuosa ma pressoché inconsapevole di un'amica o due. Questo appiattire e banalizzare un dolore impossibile da cancellare, una crepa che non si chiude, un'ingiustizia che non si sana, insieme a una oggettificazione/idealizzazione dell'immagine femminile che più sfacciata e ovvia non potrebbe essere, sono elementi che Zemeckis si fa perdonare grazie alla trasparenza con cui affronta la natura orrenda del crimine d'odio di cui è vittima il suo eroe e all'apertura mentale con cui ne esplora le conseguenze. Tanto basta a fare di Benvenuti a Marwen un film che, nel tagliare traguardi inauditi dal punto di vista tecnico e produttivo, è anche capace di offrire un racconto emozionante, luminoso e autentico.
Movieplayer.it
3.5/5