Recensione L'angelo della spalla destra (2002)

Tutto il film è permeato da un sottile black humor, che esprime lo stile di vita di un mondo lontano dal nostro, in cui i valori della religione e della tradizione hanno una grande importanza.

Benedette madri!

Una famosa frase di qualcuno che non mi è dato ricordare, recitava più o meno così: "Nella vita solo due cose non si cambiano. La mamma e la squadra di calcio". E'infatti una madre il perno intorno alla quale gira la storia raccontata da L'angelo della spalla destra, lungometraggio tagiko, presente a Cannes nel 2002.

Asht, Tagikistan. Halima, donna sola e anziana, ha paura di morire senza nessuno vicino e di non riuscire ad essere seppellita perché la porta di casa non è abbastanza grande per fare passare la sua bara. Con uno stratagemma architettato insieme al sindaco del paesino in cui vive, convince il figlio Khamro a tornare a casa dalla Russia, facendogli credere di essere in punto di morte. La donna però non muore e mette Khamro in una situazione poco piacevole. Per rientrare ad Asht, infatti, il figlio si era indebitato promettendo di restituire i soldi al momento della vendita della casa ormai vuota.

La situazione di Khamro peggiora ulteriormente quando scopre di avere a sua volta un figlio e una bocca in più da sfamare. Solo il gesto estremo di una madre può risolvere tutti i problemi.
La comprensione della vicenda è vincolata a una leggenda islamica che narra della presenza di due angeli invisibili sulle nostre spalle. L'angelo della spalla destra è il testimone delle buone azioni compiute durante il corso della vita, l'angelo della spalla sinistra prende nota di quelle cattive. Quando ognuno di noi morirà, sulla bilancia della giustizia queste azioni verranno soppesate per decidere se dovremo andare all'inferno o in paradiso.

Tutto il film è permeato da un sottile black humor, che esprime lo stile di vita di un mondo lontano dal nostro, in cui i valori della religione e della tradizione hanno una grande importanza. I personaggi che popolano il paesino appaiono ai nostri occhi, assolutamente non simpatici, ma affascinanti per i curiosi atteggiamenti che hanno l'uno con l'altro. Lo stesso Khamro, un uomo duro, di animo non certo nobile, ha tuttavia nella sua natura l'amore filiale. La linea della vita, per il regista, corre lungo i legami di sangue, motori dell'esistenza.

Alla fine rimarranno nei nostri occhi le immagini della povertà e della semplicità con cui questa gente convive, dove ha spazio anche l'amore per il cinema. Khamro lavora come proiezionista in un piccolo e scalcagnato cinema con le panche di legno e senza l'ombra di un impianto Dolby Surround, che ha il potere di trasmetterci la magia delle proiezioni di una volta, quando la Settima Arte era semplicemente evasione e fuga dai piccoli grandi problemi di ogni giorno.