Dopo i fatti drammatici della "rivoluzione dei gelsomini" di sei anni fa, la Tunisia è stata un paese di equilibri precari e di grandi speranze. Un paese a cui tutto il mondo guarda con il fiato sospeso, che, minacciato e colpito dal terrorismo jihadista, continua faticosamente il suo percorso democratico. Affrontando, uno dopo l'altro, tutti i suoi demoni.
Ne affronta uno a muso duro Kaouther Ben Hania, classe 1977, che per il suo Beauty and the Dogs si ispira ad una storia realmente accaduta; una storia tra le tante, tantissime simili che, insabbiate e taciute grazie alla prepotenza a alla corruzione delle forze dell'ordine e alla connivenza delle istituzioni, non sono mai venute alla luce, e non hanno mai trovato giustizia.
Leggi anche: Cannes 2017: 15 film da non perdere, 15 registi su cui puntiamo
Viaggio al termine della notte
Mariam è una ragazza che crede nella Tunisia dell'Islam democratico sia possibile per una ventunenne nubile trascorrere una serata allegra a ballare con le amiche e magari a baciare il giovane dai grandi occhi verdi che la guarda con ammirazione. Scoprirà che non è così nella maniera più sconvolgente, ma non per questo si rassegnerà a rinunciare ai propri diritti più essenziali, nemmeno di fronte a una spaventosa sequenza di violenze e intimidazioni.
Il film si svolge quasi interamente in interni, ha un'impostazione squisitamente teatrale e un'idea di messa in scena semplice e d'impatto che scandisce brillantemente il progredire degli eventi: una sequenza numerica, una successione di nove track shot che ci porta dall'eccitazione dei primi momenti della serata di festa a un finale catartico e che fa pensare, più che a una conclusione, a un nuovo, pugnace principio. Nel frattempo, uno script ricco di dettagli rivelatori esplora le difficoltà della vita di una giovane donna cresciuta in una famiglia conservatrice e il campo minato che la società tunisina in fermento rappresenta per lei; la regista guida com mano sicura i suoi interpreti, mettendo al centro dell'azione la fragile e intensa Mariam El Ferjani senza dimenticare di circondare la sua protagonista di un'umanità credibile, non solo poliziotti corrotti quindi ma anche personaggi ambigui e soccorritori riluttanti o a loro volta oppressi, un mondo in cui Mariam troverà disprezzo dove si aspetta aiuto e compassione dove credeva di trovare indifferenza.
Non è il vestito
La successione numerica delle scene in piano sequenza rende particolarmente evidente una scelta significativa della sceneggiatrice e regista tunisina: quella di non illustrare neanche indirettamente l'aggressione che scatena gli eventi. Una soluzione in linea con le istanze di molte importanti voci femministe nei media, che chiedono un cambiamento radicale nella rappresentazione dello stupro al fine di rimuovere qualsiasi connotazione erotica e voyeuristica di quello che è un atto di prevaricazione sistematica nei confronti delle donne. La scena in cui un'infermiera chiede a Mariam dettagli su quello che ha vissuto senza ottenere alcuna risposta è pure probabilmente da leggere in questa ottica.
Ma non è questo l'unico elemento che dovrebbe farci riflettere sulle implicazioni socio-culturali legate allo stupro, nel mondo arabo e non solo: non è solo la ragazza ad essere condizionata dalle norme e dalle aspettative della società, sono i suoi stessi tormentatori ad esserne consapevoli al punto di sfruttarli abilmente per manipolarla. Con il suo film Ben Hania ci invita a riflettere sul riflesso in cui troppo spesso ci capita di incorrere: quello di pensare che una donna che subisce uno stupro ne sia in qualche modo colpevole, perché porta un vestito corto, perché è uscita da sola di sera, perché ha bevuto alcolici, perché insomma non si è comportata da "brava ragazza". Questi giudizi superficiali non sono il sintomo di un atteggiamento protettivo nei confronti delle donne: sono lo strumento attraverso il quale la società ci fa vivere in un'atmosfera di paura, e così da continuare a esercitare il suo controllo contrastando la nostra indipendenza e autodeterminazione. Lo sguardo di Mariam quando emerge dal suo lungo incubo racconta tutto il resto. Non siamo arrivate qui perché qualcuno ce lo ha concesso. Ci siamo arrivate lottando; non indietreggiamo di un centimetro, perché la battaglia per la libertà ancora infuria.
Movieplayer.it
3.5/5