Babes or Bugs
All'interno della serie partorita dalla mente geniale di Mick Garris, spicca sicuramente per il suo taglio (auto)ironico l'episodio di Lucky Mckee, il giovane promettente del lotto, inserito nel progetto in virtù del suo ottimo esordio di qualche anno fa: quel May piccolo cult oltreoceano, quanto misconosciuto dalle nostre parti.
Sick girl, almeno in tutta la sua prima parte, assume i tratti della commedia mordace. E ci presenta un personaggio femminile insolito per un genere, quello dell'horror, che tende a volte a prendersi spesso troppo sul serio. Angela Bettis incarna infatti - in piena continuità con il suo personaggio in May - il prototipo di ragazza bruttina e disadattata, estremamente studiosa (lavora nel museo di storia naturale della sua città) e, per motivi concernenti la sua materia di studio, morbosamente amante degli insetti.
E proprio con il mondo animale, e nel mondo animale, che il regista ci introduce nella sua storia, dando vita ad una particolarissima soggettiva di un non meglio precisato insetto, modalità narrativa che riprende ogni qual volta vuole mostrare al pubblico situazioni ed elementi che rimangono celate alle protagoniste. E usiamo il plurale non per un errore, ma perché alla pedante protagonista iniziale (che per molti aspetti, fatto salvo l'amore per aracnidi e vermicelli vari, ricorda un po' Mr Bean), si affianca Misty Mundae, reginetta del porno-soft di stampo horrorifico, che incarna, qui più che altrove, lo stereotipo della problematica dell'accettazione del diverso. Le due protagoniste sono infatti legate da una vera e propria relazione, affettiva e sessuale (le dinamiche che le condurranno a quel punto sono veramente spassose), che si scontrerà con il benpensantismo dei vicini di casa.
La degenerazione in senso estraniante di una dinamica apparentemente normale, che può far considerare a ragione il mediometraggio nel novero dei Masters, si palesa solo nel finale. Punta dall'insetto già citato, la Mundae si trasformerà - ed è bravissima nel mutare radicalmente il registro recitativo nel giro di tre battute - in una creatura immonda, asservita alla volontà dell'aracnide. Finale dolce/amaro, che, se ce ne fosse ancora bisogno, palesa la metafora latente della diversità (sessuale in questo caso) non accettata, che degenera in una violenza non del tutto delineabile, giustificata dal ripiegarsi nell'inconscio horrorifico. Un po' casuale la delimitazione dei confini della metafora filmica, dunque, ma comunque lodevole l'impegno con cui si cerca di sfruttare il mezzo non come mera esibizione di artifici tecnico/visivi, ma per cercare di parlare, codificandolo con il linguaggio del cinema dell'orrore, d'altro, atteggiamento oggi sempre più raro.