Per identità e coerenza stilistica, consapevolezza del mezzo e capacità di stare nel presente pur rimanendo innamorato della tradizione cinematografica classica, Mike Flanagan è forse il regista horror statunitense più interessante della sua generazione. Nato per ironia della sorte a Salem, nel 1978, il suo percorso autoriale somiglia a quello di un qualsiasi cineasta di genere degli anni settanta: mosso da una viscerale passione per il cinema che lo ossessiona sin da piccolo e lo spinge a mettersi alla prova con brevi filmati su VHS, Flanagan si laurea in una scuola di cinema e realizza i primi cortometraggi mentre ancora frequenta l'università. Poi la gavetta come montatore, a servizio di spot per la televisione, documentari e tanto altro. Nel 2005 gira il primo cortometraggio "ufficiale", Oculus: Chapter 3 - The Man with the Plan, e i primi riconoscimenti. L'idea sarebbe quella di una serie antologica di film basati su uno specchio maledetto, ma per ora il progetto viene accantonato. Grazie al crowdfunding, nel 2011 riesce comunque a dirigere il primo lungometraggio, Absentia, e a farsi notare dagli addetti ai lavori.
Nel frattempo, però, ci sarebbe ancora quell'idea sullo specchio. Un progetto che prende una strada diversa da quella prestabilita e si concretizza nel 2013 con Oculus, film unico che viene presentato al Toronto International Film Festival e cambia definitivamente la rotta della carriera di Flanagan, consacrandolo come promessa del cinema horror. Una promessa che viene mantenuta con una filmografia giovane, ma già fitta e ricca di opere che evidenziano un talento colto, irrorato da una vasta conoscenza cinematografica e letteraria, in grado di spaziare fra suggestioni da una serialità passata (The Twilight Zone su tutte) e omaggi al lavoro di Stephen King, fonte d'ispirazione costante e a cui Doctor Sleep mette il sigillo. Vediamo allora quali sono le cinque opere più significative di Mike Flanagan.
1. Midnight Mass
Non sappiamo se sia l'opera più riuscita in assoluto del regista, ma è fuori di dubbio che Midnight Mass sia quella più ambiziosa. Ambientata su una sperduta isola che si chiama Crockett Island, abitata da solo 127 anime, Midnight Mass narra del ritorno di Riley Finn (Zach Gilford), che vi si autoesilia dopo aver scontato una pena per omicidio alla guida in stato di ebbrezza. Assieme a Riley giunge nella comunità l'enigmatico Padre Paul (Hamish Linklater), carismatica figura in grado di riportare gli abitanti di Crockett alla forza di fedeltà e religiosità originaria attraverso una serie di miracoli. Riley, ateo e razionale, è l'unico scettico nei confronti dell'operato di Paul, che invece sembra non appartenere ad alcun passato o luogo esistente. Non è mai piacevole specificare qualcosa del genere, ma_ Midnight Mass_ davvero non è una serie per tutti. Ed è incredibile che a Mike Flanagan sia stata concessa una tale libertà creativa nell'impalcare ciò che, sottoforma di serie televisiva, ha l'aspetto di un lungo e afflitto dialogo sulla religione e sul significato della fede. Perché Midnight Mass è la confessione personale di un ateo disilluso che si porta sullo schermo tramite un personaggio in cui incanalare le sue vedute sul mondo e i suoi pensieri reconditi sulla spiritualità, ma solo per rendersi martire, per espellere un'ultima volta quel senso di colpa che una preghiera non potrebbe mai estinguere. È impossibile sintetizzare in queste poche righe tutti i sottotesti che Midnight Mass si trascina dietro nel suo placido incedere verso l'ecatombe di sangue che attende i personaggi, perché parlare di religiosità significa anche dover affrontare un discorso sul legame profondo fra questa e l'identità americana. E Flanagan lo fa. Lo fa in una serie televisiva che non somiglia a nessun'altra e che, per l'ingegnosa affinità che ritrova fra i simboli biblici e quelli dell'immaginario orrorifico, verrà ricordata ancora per molto tempo.
2. Il gioco di Gerald
Film realizzato per Netflix, Il gioco di Gerald concretizza l'amore di Mike Flanagan per Stephen King in maniera definitiva. Lo fa prendendo uno dei romanzi più ispirati dello scrittore di Portland, dove la protagonista è una donna che rimane bloccata nella sua camera da letto, in una casa su un lago del Maine. Il Gerald da cui il gioco del titolo è sposato con la protagonista Jessie: nel tentativo di rinsaldare il matrimonio, la coppia decide di dirigersi alla casa isolata per dare vita alle loro fantasie erotiche in libertà, senza che vi siano possibilità di essere disturbati. Una di queste, la principale, consiste nell'immobilizzare Jessie alle colonne del letto con manette vere: ma il gioco si spinge un po' più in là del solito, e la donna, spaventata, spinge via da sé Gerald con un calcio sul petto che gli causa un infarto e lo tramortisce. Ora Jessie è sola e ancora ammanettata al letto. Come in The Haunting of Hill House (e in altre opere di Stephen King), lo spazio domestico, stavolta estraneo, diventa luogo deputato all'elaborazione di un passato terribile. Ne Il gioco di Gerald, però, la reclusione è estremizzata e arriva a coinvolgere lo stesso corpo della protagonista che, impossibilitata a muoversi, può solo compiere una regressione psichica alla ricerca dello shock vissuto durante una rossa eclissi di sole. Mike Flanagan è all'apice della sua maturità espressiva in un film del terrore (più che dell'orrore) speculare a Oculus, sostenuto da una sapiente regia e da un montaggio in grado di avvinghiare lo spettatore a immagini che sembrano generate dalla materia primordiale degli incubi e da si vorrebbe, almeno con lo sguardo, poter scappare.
3. Hill House
Con l'ausilio di vari sceneggiatori, Flanagan prende in mano il materiale gotico di romanzi e novelle approfondendo il contenuto che sul grande schermo è stato già trasporto, nel passato. Hill House fa parte di una serie Netflix che affida al regista il compito di ritornare in manieri e case infestate per indagare ulteriormente quali drammi famigliari vi si annidino. Opere già complesse, strutturate su testi prima di tutto psicologici, vengono dissezionate e rilette da uno sguardo che ritrova nell'intimità della dimensione famigliare la chiave per la comprensione di ogni male. Ecco allora che i personaggi storici di Hill House, romanzo-capolavoro di Shirley Jackson (L'incubo di Hill House) che con il regista Robert Wise si trasfigurava in un'opera sulle agghiaccianti deformazioni della suggestione, tornano un'ultima volta al centro della loro storia, ma in ruoli capovolti. I Crain diventano pezzi di un unico cuore pulsante, una famiglia frammentata da un passato tragico e da una figura materna dannata dalla malattia mentale. Un lutto nel presente risveglia gli spettri rimasti intrappolati nelle mura di Hill House e la casa assume i connotati di un limbo infernale, in cui la paura è la prova da superare per l'elaborazione di un trauma incancrenito. The Haunting of Bly Manor, ambiziosamente basata su Il giro di vite di Henry James (che ha già avuto un film, il bellissimo The Innocents), non è altrettanto riuscita. The Haunting of Hill House, grazie al brillante innesto di materiale proveniente dall'immaginario di Stephen King, rimane una delle serie televisive horror più ispirate e inquietanti che si siano viste negli ultimi anni.
4. Oculus
Ispirato a quel cortometraggio quasi omonimo che avrebbe dovuto costituire solo un pezzo della prevista serie di film a tema, Oculus rappresenta uno spartiacque fra il cinema indipendente a basso budget e il futuro di Mike Flanagan, che sarà supportato studios sempre più grandi. Prodotto da casa Blumhouse, Oculus è un horror psicologico che ha al centro un oggetto maledetto e il suo potere di azione o suggestione: l'oggetto è uno specchio antico che ha in comune con i due protagonisti un passato segnato dal sangue, ma in modalità opposte. Ciò che il prologo mostra è l'antefatto delle vicende: una madre e un padre coinvolti in una tragedia per cui viene incolpato il piccolo Tim, che al tempo aveva solo 10 anni. Passati undici anni, sua sorella Kaylie (una già folgorante Karen Gillan, agli esordi) è determinata a coinvolgere suo fratello nel piano per prendersi la sua vendetta contro quello specchio che, a suo dire, avrebbe poteri paranormali e la colpa di aver ucciso i genitori. Non risiede tanto nell'assunto da cui si dipanano le vicende o nel tratteggio della storia principale la ragione per cui Oculus costituisce uno degli apici del cinema del regista. È, piuttosto, nel modo di metterla in scena (a partire da risorse di budget limitate, fra l'altro) che si cela la vera sorpresa: con un montaggio che alterna le dimensioni del passato e del presente e una regia che innesta un piano temporale sull'altro, Oculus è una visione eccitante e in grado di instillare nello spettatore un senso di angoscia e disorientamento, con colpi di scena ben dosati e magistralmente architettati.
5. Hush - Il terrore del silenzio
Presentato al South by Southwest nel 2016, Hush - il terrore del silenzio è un film che Mike Flanagan ha scritto a quattro mani insieme a Kate Siegel, compagna non solo nella vita ma anche nel lavoro, e sua attrice dai tempi di Oculus. È sua anche l'interpretazione della protagonista Maddie, che ha perso l'udito e la capacità di parlare in giovane età. Il pretesto per l'isolamento le è dato dal suo lavoro, ossia quello di scrittrice di romanzi (horror, per la precisione): nel tentativo di ritrovare la vena creativa e l'ispirazione, Maddie pensa che sia una buona idea chiudersi in una casa in mezzo a un bosco, con soltanto il suo gatto come compagnia. A farle visita giungerà presto un uomo mascherato e armato di balestra, che desidererà soltanto torturarla finché non sarà lei stessa a desiderare di essere morta. Sarebbe anche una di quelle idee abusate da un certo tipo di cinema horror (che infatti ha un sottogenere tutto suo, l'home invasion), non fosse che Flanagan fa della condizione della sua protagonista un geniale spunto in grado di dar vita a trovate narrative originali e a un senso di tensione incrollabile per tutto il film. Lui può vederla, lei non può sentirlo; lui può fare rumore, lei non può parlare. Hush è un film essenziale, ma che nei suoi ottanta minuti trova tutta la solidità di cui questo tipo di thriller ha bisogno: ogni elemento utilizzato, soprattutto il mestiere della protagonista, è a disposizione della narrazione e ogni elemento scenico, letteralmente, a disposizione dell'azione.