Qualcuno lo chiama, "lavoro del futuro". Per chi scrive, invece, è solo schiavismo contemporaneo. L'esistenza di centinaia di ragazzi costretti alla sopravvivenza, correndo a destra e sinistra, sotto al sole o sotto la pioggia, per le strade delle grandi città, sempre più schive e indifferenti. Da questo spunto, e senza sfruttare un facile pietismo, lo sguardo acutissimo di Milad Tangshir - iraniano, ma ormai adottato dall'Italia - costruisce una narrativa neorealista attorno all'ottimo Anywhere Anytime. Storia di Issa (con il volto di Ibrahima Sambou) che nella Torino contemporanea (luogo di immigrazione anche autoctona, basti pensare a quel sud che, negli anni Sessanta, è migrato al nord) prova a arrabattarsi facendo il rider. Quando però gli viene rubata la sua bicicletta, l'equilibrio viene spezzato.
E del film - arrivato al cinema dopo la presentazione alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 81 - ne abbiamo parlato con il regista e con il protagonista, partendo da una riflessione in questo senso sociale: possibile che siamo tornati allo schiavismo? "Bisogna tornare alle radici. Non so se è un fenomeno nato dal nulla, anzi", ci dice Milad Tangshir. "È un'eredità, uno schiavismo che si è trascinato anche verso altre strade del mondo". Per Ibrahima Sambou, invece, "Per noi, credo sia un fattore di sopravvivenza. Arrivo dalla Libia, con la barca. Di cose ne ho viste...".
Anywhere Anytime: video intervista a Milad Tangshir e Ibrahima Sambou
Anywhere Anytime è un film acuto e lucido, che non ha timore di risultare politico. Perché, però, in Italia, un genere socialmente rilevante è stato accantonato (eppure veniamo da Petri, Monicelli, lo stesso Bellocchio)? Per il regista: "Sono un esordiente, però forse certe direzioni dipendono dal pubblico. Non è solo un discorso italiano: forse dopo un processo semplicistico certi valori si sono persi. La narrazione politica sempre forte nel cinema italiano è stata tralasciata in favore di altre storie".
Poi, Ibrahima Sambou spiega quanto il set sia stato per lui d'aiuto "I primi giorni sono stati tosti. Però, avevamo una squadra forte. Mi hanno aiutato. Sul set, alla fine, sono tornato a respirare. Mi sono rilassato. È stato bellissimo". E prosegue "Ho degli amici che fanno i rider. Io non l'ho mai fatto, ora lavoro in cucina. Per me è stata una grande esperienza dare voce a chi la voce non la ha". Ma la cucina, alla fine, è un ambiente simile al set? "Direi di no, in cucina è tutt'altra cosa. Sul set è tutto più difficile!", scherza l'attore.
Anywhere Anytime, la recensione: un cinema sociale nel segno di un nuovo Neorealismo
"Il cinema d'autore in Italia? Un miracolo..."
La riflessione sul tema si sposta sul concetto di lavoro, aberrante nella sua forma e nella sua apparenza. "Lo chiamano 'il lavoro del futuro'... Ma questo è un lavoro di invisibili. Non c'è individualità, e questo senso di non vedere questi rider è l'elemento più spaventoso", ci dice Milad Tangshir, che poi racconta quanto la musica, in Anywhere Anytime, sia un metro stilistico essenziale: "La musica è la prima cosa che viene. La musica esisteva già prima del film. Un mondo sonoro ben definito: jazz e musica africana di fine anni Sessanta inizio anni Settanta, tra Senegal ed Etiopia. Volevo creare un senso di alienazione: una sonorità famigliare per l'orecchio occidentale, con rimandi alle radici dei protagonisti. Volevo mischiare queste inflessioni: le strade italiane dovevano essere meno famigliari, ecco. Per questo la musica doveva accompagnare il film e il protagonista".
Cura estetica, cura narrativa, e poi la difficoltà di fare un certo cinema in Italia "Fare cinema d'autore non è scontato in Italia, è stato un piccolo miracolo fare questo film. E mi sono chiesto: chissà quando sarà la prossima volta!", chiosa Tangshir. E noi, dal nostro canto, speriamo che arrivi molto presto la sua prossima volta.