Con Anora, Sean Baker ha fatto la storia diventando la prima persona ad aver portato a casa quattro premi Oscar per il lavoro fatto su un singolo film. Dei cinque Oscar vinti, a eccezione logicamente di quello per la Miglior attrice protagonista andato a Mikey Madison, 4 sono andati proprio al filmmaker in qualità di regista, produttore, sceneggiatore e montatore della pellicola. Nonostante quest'aneddotica da annalistica dell'Academy Award, c'è un paradosso: malgrado i tanti riconoscimenti si tratta di un film pochissimo visto. In Italia, l'incasso è ben al di sotto del milione di euro e, a livello globale, parliamo di 41 milioni di dollari al box-office.

Motivo per cui anche da noi potrebbe magari ripetersi quella dinamica che si è venuta a creare negli Stati Uniti dove, come vi abbiamo raccontato in uno speciale che trovate linkato più in basso, Anora potrebbe aver incassato molto di più dai noleggi e dalle vendite in digital che dalla distribuzione theathrical. La pellicola che ha tenuto banco alla Notte degli Oscar è difatti disponibile negli store digitale, e sarà quindi alla portata delle persone che, eventualmente incuriosite dal tamtam mediatico, avranno desiderio di scoprire il film. Un'opera in cui, come ha spiegato tempo fa Sean Baker al podcast di IndieWire, a essere importante sono sì la storia e le interpretazioni, ma anche le location, soprattutto una, in cui si svolgono le vicende della giovane spogliarellista e sex worker Anora e di Vanja, il viziatissimo figlio dell'oligarca russo che la "affitta" come fidanzata.
60 minuti da Cenerentola
Con Anora la volontà di Sean Baker era quella di dare vita a una tipica rom-com hollywoodiana, magari un po' più "estrema" rispetto al solito, ma comunque aderente a un certo canone. Il lungometraggio, che dura poco più di due ore, è stato concepito dal filmmaker con l'idea che i primi 45, 60 minuti massimo potevano anche essere vissuti come un film a sé. Tanto che, come spiega nell'interessante podcast, una persona potrebbe alzarsi "e lasciare il cinema quando arriva l'inquadratura dall'elicottero che si allontana dalla villa e lei vive per sempre felice e contenta. È come se fosse un finale. L'ho persino incorniciato con una canzone pop".
Per far sì che questa prima tranche di storia avesse il giusto tono, era di fondamentale importanza che si riuscisse a trovare una location adatta a quelle che erano le necessità del tutto. D'altronde, nella di certo non lunghissima filmografia di Baker, sono comunque presenti dei titoli in cui la geografia dei luoghi ha una particolare importanza. Pensate a Un sogno chiamato Florida e al suo motel in prossimità di Disneyworld o anche a Tangerine al suo radicatissimo rapporto con Los Angeles e, nel dettaglio, Hollywood.
C'è poi una particolarità: Sean Baker era sì interessato ai personaggi e alla storia che avrebbe narrato, ma coltivava da un sacco di tempo il sogno di girare nei quartieri russi e armeni di Brooklyn. Posti che aveva imparato a conoscere grazie a Karren Karagulian, l'attore armenoamericano con cui collabora da più di vent'anni. Aggiunge Baker che "Poi, verso la fine del COVID, ho girato un fashion film concepito come una sorta di omaggio a I guerrieri della notte di Walter Hill, che era stato girato in quella zona, e credo che sia stata quell'esperienza a riaccendere quel desiderio".
Uno spazio sconosciuto che andava trovato
Lo sviluppo di Anora non è partito dai personaggi, ma dalla scrittura di una scena di 25 minuti ambientata in un salotto dove solo in seguito sono stati inseriti elementi come la protagonista che dà il titolo al film e l'opulenza dell'oligarchia russa. Ed è stato proprio in questa fase di approfondimento per così dire, che Baker ha fatto i conti con l'inaspettato: stava immaginando spazi che non conosceva minimamente.
Spiega che stava scrivendo pensando "a una lussuosa villa da qualche parte tra Brighton Beach e Sheepshead Bay. Seduto nel mio appartamento a West Hollywood, ho digitato su Google 'la villa più grande e bella di Brighton Beach' ed è saltata fuori quella".
Poi è anche successo che il regista, parlando con una consulente di quel quartiere, è venuto a sapere un'esperienza personale di quella donna: era stata tenuta prigioniera dal suo compagno, un gangster russo, che l'aveva poi abbandonata. Un processo durante il quale aveva iniziato a sviluppare la sindrome di Stoccolma e a sentirsi attratta dai suoi carcerieri. Un altro ingrediente per il suo Anora si era palesato in maniera del tutto fortuita.
Uno spazio intimidatorio

Curiosamente, come avrebbe poi scoperto il location manager della pellicola, quella residenza era stata davvero progettata per un oligarca russo che ci aveva vissuto per un po' per poi venderla a un russo-americano della zona. Stephen Phelps, scenografo di Anora, ha provato una certa ansia al pensiero di dover "maneggiare" spazi così ampi. Una situazione intimidatoria anche perché non c'era il budget per arredarla.
Il fattore "c" per così dire è intervenuto a favore della produzione: essendo una villa abitata davvero da russi aveva un'estetica che si adattava quasi perfettamente alle necessità del lungometraggio. Dice Phelps che "Quando siamo arrivati, si vedeva che era vissuta, ho dovuto aggiungere forse il 20% degli arredi scenici, ma per lo più si trattava di spostare le stanze". In quanto a mobilio è stata semmai tolta della roba, come sedie e tavoli, per far sì che ci fosse lo spazio fisico per muoversi con le apparecchiature e le macchine da presa, e aggiunti tutti quegli oggetti che, per necessità drammatiche, si sarebbero rotti e danneggiati.

Sempre in tema di serendipità e di elementi utili alla messa in scena, Sean Baker e Stephen Phelps sono stati aiutati dalle ampie vetrate a tutta altezza che circondano la villa e si affacciano su Mill Basin. Anora è un film a basso budget quindi l'onore e l'onere di trasmettere il senso di sfrontata agiatezza della famiglia di oligarchi doveva arrivare proprio dalla magione. Però una villa, per quanto sfarzosa e grande, nasce comunque con lo scopo di essere vissuta, più che filmata, contrariamente a ciò che viene edificato nella finzione dei set allestiti ad hoc. E la realtà, per quanto enorme, tende a essere ridotta di dimensioni quando viene ripresa. Proprio la presenza di queste finestre panoramiche col loro senso di spazialità verso l'esterno, i riflessi sul pavimento e i colori si sono amalgamati insieme tanto da rendere più accessibile e percepibile anche dallo spettatore il senso di meraviglia provato dalla protagonista.