Conoscere il mondo che ci circonda per entrare in contatto col proprio io è il mantra di questo piccolo documentario di viaggio firmato da Stefano Deffenu, attore feticcio di Bonifacio Angius, che qui compare come co-autore e produttore con la sua Il Monello Film. Come evidenzia la recensione di Ananda, stando a quanto raccontato dalle didascalie contenute nel prologo, il film è nato in maniera rocambolesca dopo che il girato è stato sottratto a Deffenu alla fine del suo viaggio in India, nel 2011, e rispedito a casa sua in Sardegna tre anni dopo. A questo evento si intreccia la scomparsa del fratello gemello del regista, Giancarlo, a cui il film è dedicato.
Fin dal titolo, Stefano Deffenu esplicita l'oggetto della sua ricerca. Ananda ("felicità" in sanscrito) è una tribù di bambini fantasma che si sono ribellati alla società indiana, abbandonando il mondo degli adulti, e vivono in libertà, a contatto con la natura. Deffenu vaga per l'India con la sua telecamera insieme a un altro occidentale, Pierre Obino, sulle tracce di questi bambini che nessuno sembra conoscere nel tentativo di venire a patti con la perdita del fratello gemello, che ricerca negli sguardi e nei sorrisi dei bambini indiani immortalati dal suo obiettivo. O magari tenta di ritrovare il bambino che viveva in lui e che lo ha abbandonato di fronte al dolore per la perdita.
Miti, misteri e bambini ribelli
Per essendo organizzato in dieci capitoli, più un prologo e un epilogo, Ananda è un film libero, discontinuo. Un diario di viaggio spontaneo che ci guida nell'esplorazione di un mondo lontano attraverso lo sguardo amaro del suo narratore, carico di quella consapevolezza tutta occidentale che la felicità è un'utopia. La natura caotica delle immagini, in cui si affastellano strade, boschi, catapecchie, fiumi, terriccio, montagne e tanti, tanti volti, occhi, capelli e sorrisi, è dovuta alla scelta di riprendere "tutto ciò che il regista ha visto nel suo viaggio" per poi dargli un ordine, parecchi anni dopo, in montaggio.
L'India che racconta Stefano Deffenu non ha niente a che fare col paese da sogno mitizzato da tanti occidentali. Niente palazzi merlati, statue giganti o sari scintillanti, ma casupole di fango, sacchi a pelo, boschi e vallate scoscese e bambini impolverati che corrono qua e là. Il regista non si sofferma più di tanto sulla metropoli, che risulta caotica, povera e soffocante, ma si perde tra campagne e villaggi alla ricerca dei fantomatici Ananda, i bambini gioiosi. Deffenu cerca il contatto con gli abitanti del luogo in cerca di informazioni, forse di calore umano, ma dal film traspare il distacco dell'occidentale che si sente smarrito di fronte a un mondo estraneo, a tratti incomprensibile.
Ananda: il debutto alla regia dell'attore Stefano Deffenu
Diario di viaggio per voce e immagini
La tappa più lunga, nel cammino di ricerca di Stefano e del compagno di viaggio Pierre, coincide col soggiorno a Malana, antico villaggio himalayano in cui i due viaggiatori si immergono nelle tradizioni locali, tra miti sull'origine ellenica risalente ad Alessandro Magno, i cui soldati avrebbero dato origine alla stirpe locale, e strane usanze per cui agli stranieri non è permesso toccare neanche per sbaglio i locali, pena il pagamento di una multa di 1000 rupie. Ancora una barriera separa nettamente Oriente e Occidente, esploratori e stanziali, cercatori tormentati dai propri demoni e popoli che hanno imparato ad accontentarsi e gioire del poco a causa dell'isolamento e della durezza delle condizioni di vita.
Nonostante la parentesi apparentemente gioiosa e positiva, nel finale, dell'apparizione dei bambini Ananda coi loro volti dipinti di rosso e giallo, l'inquietudine trasmessa dalla voce narrante nell'arco di tutto il film non si placa e accompagna un lavoro egualmente distante dall'ebrezza per la scoperta chatwiniana e dalla ricerca spirituale alla Tiziano Terzani. Esiste una terza via per creare un diario di viaggio per immagini ed è quella che imbocca Stefano Deffenu per il suo esordio, accostandosi all'India - e alla regia - come a un mondo di scoperte, sensazioni e incontri che, a conti fatti, lo aiutano a far chiarezza principalmente nella propria anima.
Conclusioni
Per essendo organizzato in dieci capitoli, la recensione di Ananda evidenzia la natura libera e discontinua del documentario. Un diario di viaggio spontaneo che ci guida nell'esplorazione di un mondo lontano attraverso lo sguardo amaro del suo narratore, carico di quella consapevolezza tutta occidentale che la felicità è un'utopia.
Perché ci piace
- Uno sguardo inedito sull'India, lontana dalla nazione esotica da cartolina propagandata di solito.
- La struttura libera e discontinua ci dà il senso del viaggio in un mondo estraneo che è poi un viaggio alla scoperta di se stessi.
- La voice over del regista, calibrata e mai ridondante, che ci fornisce elementi chiave per la comprensione del film.
Cosa non va
- La divisione in capitoli dà ordine al materiale, ma restituisce il senso di un tentativo di catalogare e ingabbiare una materia sfuggente.