Il cinema, dal post Secondo Dopoguerra, si è fatto trovare spesso presente nel ricordare il terribile genocidio che ha interessato l'Armenia (ricordiamo sull'argomento, per bellezza e vicinanza, La masseria delle allodole dei fratelli Taviani) con il risultato di incentivare la memoria intorno ad un evento così terrificante, ma correndo parallelamente il rischio di non raccontare altro del destino del popolo.
Probabilmente Michael A. Goorjian (il cui nonno fu un sopravvissuto al massacro) ha pensato a questo quando ha deciso di scrivere, girare e interpretare Amerikatsi, una pellicola che ha il suo innesco nel genocidio per poi svilupparsi interamente dopo, nel momento in cui il Partito Comunista organizzò il rimpatrio dei vari profughi nella nuova Armenia Sovietica.
Questo ragionamento e forse anche l'intenzione di fare una sorta di controcampo di Amerikana, pellicola alla quale Goorijian partecipò come protagonista e co-sceneggiatore, che raccontava gli Stati Uniti con un road movie omaggio a Easy Rider. Sono molti infatti i fili e i ribaltamenti che collegano le due pellicole, soprattutto il tema dell'esplorazione (nel primo c'era scoperta e nel secondo riscoperta) e l'importanza dello sguardo (nel primo in movimento e nel secondo immobile).
Un Amerikatsi nell'Armenia Sovietica
Charlie Bakhchinyan (Goorjian) è un armeno che ha trovato la salvezza negli Stati Uniti, quando da bimbo è riuscito a fuggire dal suo Paese Natale in cui si stava consumando un massacro senza precedenti. Nella terra delle opportunità si è costruito una nuova vita, ma non ha mai dimenticato le sue origini, che continuano ad echeggiargli nelle orecchie tramite le note di una canzone della sua infanzia.
Ecco perché, divenuto vedovo, ha deciso di tornare in Armenia aderendo all'iniziativa dell'URSS di Stalin. La fortuna non sembra abbandonarlo neanche lì, dal momento che il bambino che salva dalla folla è il figlio di un potente gerarca russo e della moglie armena, che lo prende da subito in simpatia, tanto da convincere il marito a trovargli un lavoro. Egli decide invece di scoraggiare il temperamento occidentale di Charlie, spaventandolo con un'incarcerazione momentanea per i crimini di Cosmopolitismo e di propaganda capitalista.
Per disinteresse e caotica cattiveria, il nostro si ritrova però incarcerato e pronto per essere spedito in Siberia. Quando tutto sembra precipitare ecco che improvvisamente un terremoto causa dei danni alla pigione, motivo il quale i detenuti rimangono in loco. Non solo, in seguito all'evento la parte del muro davanti alla finestra della cella di Charlie viene meno e così l'uomo ha libera visuale verso una casa di fronte, dove vive una coppia indigena, che rappresenterà un canale straordinario tra l'amerikatsi e il suo passato.
Non ci sono barriere per chi non vuole perdersi
Il cuore di Amerikatsi sta tutto nel rapporto tra gli sguardi, quello tra un oppresso e un oppressore, tra un immigrato e un autoctono, tra chi è rimasto e chi se n'è andato. Gli sguardi sono ciò che permette di superare le barriere sia fisiche che culturali e, quindi, di immaginare una libertà o, quanto meno, un riposizionamento. Il tipo di cinema che sceglie di perseguire Goorjian non è ideologico, né politico, ma più che altro emotivo. Non c'è la volontà di raccontare con profondità i soprusi che ha dovuto subire il popolo armeno, tant'è che la sceneggiatura si affida al caso o all'approssimazione quando gira il destino del suo protagonista.
Lo spazio per l'esplorazione del dramma umano è l'unica cosa a cui il tono ironico, quasi caricaturale, concede spazio, ma una vera riflessione sulla dittatura comunista non c'è mai: il regime è ipocrita nei riguardi dei suoi ideali, tant'è che anche i suoi funzionari alti e la loro prole sognano l'America, o è rappresentato da idioti crudeli. Il regime, brutto, sporco , cattivo e anche un po' buffo, opprime, ma i suoi esecutori sono macchiettistici, quello che si capisce è che non hanno spirito di unione, al contrario degli sconfitti, che si capiscono e riescono ad aiutarsi, anche in situazioni che li vorrebbero divisi.
Ecco quindi che Amerikatsi, pur essendo, di fatto, un prison drama, diventa un film contro le restrizioni, che parla di come è impossibile riuscire a mettere un popolo in ginocchio fintanto che esso ha la voglia di non perdersi, di continuare ad alimentare la propria immaginazione (qui il ruolo dell'arte viene sottolineato con grande convinzione) e di non dimenticare le canzoni della propria infanzia. Un bellissimo messaggio, che però rischia di sublimare il reale con favolistico, facendo prendere al film una deriva un po' troppo sognante.
Conclusioni
Michael Goorjian scrive, dirige e interpreta un film per ricordare le sue origini e le vicissitudini del popolo armeno ha dovuto dopo il genocidio. Lui è l'Amerikatsi che si ritrova al centro di un prison drama sull'importanza dello sguardo e dell'immaginazione per abbattere le divisioni imposte. Un pellicola leggera, ma che concede un grande spazio al dramma umano. Un filo troppo sognante e un filo troppo poco interessata ad entrare nelle complessità politiche.
Perché ci piace
- Il mix di tono umoristico e drammatico.
- Il lavoro sugli sguardi tra campo e controcampo.
- La prova di Goorjian, molto coinvolto.
Cosa non va
- La riduzione macchiettistica di alcuni personaggi.
- L'approssimazione in qualche passaggio di sceneggiatura.
- La deriva un po' troppo sognante.