In una sequenza di Caccia all'uomo, secondo episodio de L'assassinio di Gianni Versace, Andrew Cunanan, chiuso nel bagno di una stanza di motel a Miami Beach, si avvolge del nastro adesivo attorno alla faccia. Nel momento in cui Andrew apre la porta il suo volto, coperto con il nastro fino all'altezza del naso, richiama immediatamente alla memoria il volto di Francis Dollarhyde, il serial killer di Manhunter, il quale si presentava al cospetto delle proprie vittime con una calza tirata sul viso fin sopra la bocca. Il titolo stesso dell'episodio, in originale Manhunt, allude a quello del capolavoro del 1986 di Michael Mann, e il fotogramma in questione rievoca un immaginario inesorabilmente sinistro.
Ma non è l'unica suggestione del genere in Caccia all'uomo: poco prima, lo stesso nastro era stato usato da Andrew Cunanan su un ricco e anziano 'cliente', immobilizzato a letto con quella mostruosa maschera d'argento. In una scena al tempo stesso bizzarra e angosciante, Andrew inizia a ballare seminudo al ritmo di Easy Lover di Philip Bailey e Phil Collins: una 'danza macabra' che, nel suo effetto grottesco, potrebbe ricordare quella di Buffalo Bill, il maniaco omicida de Il silenzio degli innocenti, così come il Patrick Bateman di American Psycho.
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Diario di un serial killer
Momenti come questi sarebbero già sufficienti a rendere L'assassinio di Gianni Versace, seconda stagione della serie antologica American Crime Story, uno dei più efficaci thriller attualmente in onda sul piccolo schermo; eppure, ciò che abbiamo visto nei primi due episodi del crime drama firmato da Tom Rob Smith non era che un antipasto. The Man Who Would Be Vogue (L'uomo da copertina) e Manhunt costituiscono un incipit basato su una frammentazione della linearità temporale: c'è l'omicidio di Gianni Versace, interpretato da Edgar Ramírez, con l'indagine della polizia che si intreccia a quella dell'FBI; c'è l'analessi sulla vita di Versace, in particolare sul suo rapporto con la sorella Donatella (Penélope Cruz) e con il compagno Antonio D'Amico (Ricky Martin); e ci sono i flashback dedicati a Andrew Cunanan, il giovane serial killer impersonato con raggelante mimetismo da un sorprendente Darren Criss.
Ma nelle puntate successive, Tom Rob Smith e Ryan Murphy optano per un drastico cambiamento della formula narrativa: il personaggio del titolo, lo stilista Gianni Versace, scompare quasi del tutto, mentre la serie si trasforma nella cronaca degli orrori commessi da Andrew Cunanan. Una cronaca sviluppata con una struttura in perfetto stile Memento: ciascun episodio ci porta sempre più indietro nel tempo, mostrandoci l'antefatto di quello precedente e focalizzando l'attenzione su una delle vittime di Cunanan, vittime la cui morte sarebbe stata oscurata dal più famigerato delitto di fine millennio. Ed è appunto in queste tre puntate che American Crime Story si è imposto come la serie più disturbante trasmessa di recente: un racconto imperniato sul connubio fra gli elementi del thriller e una rappresentazione ad ampio raggio dell'omosessualità negli anni Novanta, in una fase storica in cui si allontanava la piaga dell'AIDS, ma ancora persistevano tabù, paure e discriminazioni di vario tipo.
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Un omicidio casuale (anzi, due)
E in queste puntate l'omosessualità, quando viene nascosta, repressa e vissuta nell'ombra, si configura come una sorta di prigionia autoinflitta, nonché come il veicolo che condurrà i vari personaggi nelle mani del medesimo carnefice. È il caso di Lee Miglin, stimato imprenditore edile di Chicago, sposato con l'intraprendente Marilyn, proprietaria e testimonial di una nota marca di profumi: due ruoli interpretati dalle guest star Mike Farrell e Judith Light. Costruito interamente sull'assassinio di Miglin, che avrebbe incontrato Andrew Cunanan approfittando dell'assenza della moglie, Un omicidio casuale è una delle ore di televisione più tese e sinistre dell'annata: a partire dal flashfoward d'apertura, con il ritorno di Marilyn nella sua lussuosa casa di Chicago e l'immediata intuizione che, fra quelle pareti, dev'essere appena avvenuto qualcosa di terribile.
Qualcosa che ci verrà mostrato subito dopo, nella sua fatidica irreversibilità: l'ingresso di Cunanan, nottetempo, nella residenza di Miglin, che lo ha ingaggiato come gigolò; il confronto fra l'anziano milionario, colto in un frammento della sua inconfessabile "doppia vita", e la feroce invidia sociale del ragazzo; la sequenza dell'omicidio nello scantinato, preceduta da una smaccata manifestazione del sadismo di Cunanan, il quale prima di uccidere Miglin gli rivela il modo in cui esporrà al mondo il suo segreto. Se Marilyn, rifiutandosi di accettare la reale natura del delitto, insisterà nel definire l'uccisione di suo marito un "omicidio casuale", è invece una vera, tragica casualità quella che, al termine dell'episodio, porterà William Reese, custode di un cimitero in New Jersey, a perdere la vita per mano di Cunanan.
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Vittima e carnefice
Strettamente correlate l'una all'altra sono la quarta e la quinta puntata, La casa sul lago e Coming Out, entrambe per la regia di Dan Minahan. Con La casa sul lago, in particolare, American Crime Story ci consegna l'episodio probabilmente migliore di questa prima metà di stagione: un altro, elettrizzante thriller messo in scena come un lungo gioco fra vittima e carnefice. La vittima, in questo caso, è David Madson, ex partner di Andrew Cunanan, il quale ha commesso l'errore di ospitarlo nel proprio appartamento a Minneapolis; e in questo appartamento, la sera del 27 maggio 1997, si consuma l'assassinio del loro comune amico Jeffrey Trail, massacrato da Cunanan a colpi di martello poco dopo aver varcato la soglia della porta. Una sequenza semplicemente agghiacciante, in cui alla selvaggia follia di Cunanan si contrappone il terrore inerme di David, testimone di quell'inaspettata esplosione di violenza.
È l'incipit di un logorante incubo a occhi aperti vissuto dallo spettatore mediante lo sguardo di David, che trova un eccellente interprete nel ventinovenne australiano Cody Fern (a breve nell'ultima stagione di House of Cards). Dalla permanenza in quel grande appartamento, spoglio e immerso in una perenne penombra dalle sfumature rossastre, sempre più simile a una prigione, con il cadavere martoriato di Jeffrey abbandonato in un angolo, alla fuga in veste di ostaggio-complice di Cunanan, La casa sul lago è un'ora di televisione in cui la suspense è magistralmente combinata con l'esplorazione delle dinamiche fra i due comprimari: David, il quale rivive il rapporto con un padre che non aveva accettato serenamente l'omosessualità del figlio, e pertanto continua ad essere soggiogato dal relativo senso di vergogna e di 'colpa'; ed Andrew, aggrappato all'ultimo barlume di un possibile contatto umano. Un contatto che lui stesso sceglierà di recidere, alla fine, con quel colpo di pistola sparato in pieno viso contro David, nella tetra solitudine di un bosco.
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Don't ask, don't tell
Se La casa sul lago si apre in medias res, l'episodio seguente, Coming Out (ma il titolo originale è il ben più calzante Don't Ask Don't Tell), ci porta direttamente lì: alla sera di quel 27 maggio 1997, ai furiosi colpi di martello con cui Andrew Cunanan ha maciullato il cranio dello sventurato Jeffrey Trail. Un personaggio, Jeffrey (Finn Wittrock, attore lanciato da American Horror Story), al cuore di questa quinta puntata, che ne ricostruisce la vicenda alternandosi fra diverse linee temporali: dall'arrivo di Cunanan a Minneapolis, dove David e Jeffrey lo accolgono con disagio e preoccupazione, a una catena di flashback risalenti a un anno e mezzo prima, quando Jeffrey era un membro della marina militare, costretto a celare la propria omosessualità per evitare ripercussioni da parte dei commilitoni.
È un episodio in cui American Crime Story rievoca un capitolo ben preciso della società americana degli anni Novanta: quello dell'ipocrita direttiva del Don't ask, don't tell, volta ad escludere gli individui apertamente gay dall'esercito. Questa subdola forma di discriminazione, abolita soltanto nel 2010, viene raccontata attraverso la parabola di Jeffrey, il quale rilascerà un'intervista a volto coperto alla CBS per poi rinunciare alla divisa a cui teneva in maniera viscerale. Il dramma del giovane, un dramma al contempo personale e collettivo, è il fulcro di un episodio struggente, che nella parte conclusiva torna a far montare la tensione, fino a quel sanguinoso epilogo: un epilogo a cui il pubblico aveva assistito con largo anticipo e che per questo assume una dimensione ancora più atroce, nella spaventosa ineluttabilità di un fato già scritto.