A nemmeno un anno di distanza da Favolacce (2020), premiato al festival di Berlino per la migliore sceneggiatura, i fratelli D'Innocenzo ed Elio Germano si sono ritrovati a un'altra rassegna cinematografica con un nuovo film girato insieme: presentato in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, America Latina esce nelle sale il 13 gennaio.
Laddove Favolacce è un film corale, con le storie di molti personaggi che si intrecciano, America Latina si concentra invece soprattutto su un personaggio, Massimo. Dentista di Latina interpretato appunto da Elio Germano, vive in una casa dall'architettura assurda insieme alla moglie e alle figlie. Un giorno come tanti scende in cantina e la sua vita cambia per sempre.
Visivamente complesso (ogni immagine ha più livelli di lettura), il film è la terza prova da registi di Damiano e Fabio D'Innocenzo, che ancora una volta parlano di famiglia (c'è un altro compleanno che va male: chissà da dove viene questa paura per le feste) e di mascolinità soffocante. Ne abbiamo parlato proprio con Elio Germano, incontrato al Lido di Venezia.
La video intervista a Elio Germano
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America Latina e la mascolinità tossica
Perché secondo te nel 2022 un uomo che piange è ancora una cosa sconvolgente?
Perché siamo bombardati da un modello di mascolinità che non solo è dannosissimo per la nostra società ma soprattutto per gli uomini. L'uomo deve essere duro, forte, vincente, aggressivo, non deve provare emozioni, deve essere funzionale al mercato. Invece la vita è fatta d'altro. Siamo esseri umani e quindi fragili, imperfetti, immaturi. L'accoglienza, la condivisione, l'apertura è ciò che ci fa stare bene. Tutto il resto è menzogna.
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C'è anche un confronto tra la realtà e ciò che immaginiamo. Ma se la realtà è orrenda e immaginiamo altre cose orrende, che speranza abbiamo?
Non è detto che la realtà si opponga al nostro immaginario. Può darsi che la realtà sia frutto del nostro immaginario. Quindi dobbiamo stare attenti a quello che immaginiamo perché diventa reale.
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In una scena emergi dall'acqua e dall'oscurità, quasi come un mostro. Come è stato trasformarsi così?
Non penso di essermi trasformato in un mostro. Penso che la mostruosità sia fuori, nelle nostre vite, nei telegiornali, in quello che vediamo fuori dalla finestra. Poi siamo talmente immersi in questo mondo violento che finiamo per assorbire delle cose. Secondo me non abbiamo raccontato dei mostri: abbiamo raccontato con profondo amore degli esseri umani in difficoltà.
Per il look del protagonista vi siete ispirati anche un po' al Walter White di Breaking Bad? Il pizzetto, la testa rasata un po' lo ricordano.
Non so di cosa stai parlando. La testa rasata è per raccontare questo processo che avviene in questa testa, in questo mondo contenuto in quella mente.