Amata, recensione: una parabola sulla maternità che non riesce a compiersi del tutto

Il nuovo film di Elisa Amoruso è una riflessione intima e dolorosa sulla maternità, che cerca di far dialogare due storie opposte, entrambe cariche di significati. Un peso eccessivo per una scrittura insicura. Al cinema.

Miriam Leone in Amata

Con Amata, la regista Elisa Amoruso sembra essere riuscita finalmente a trovare il modo per assecondare una pulsione che si può rintracciare, sotterranea, già nella sua pellicola d'esordio. Si trattava infatti di un coming of age solo apparentemente limitato agli argini più canonici del genere, ma già sfumato dall'ambizione, in realtà neanche troppo velata, di esondare.

Amata Miriam Leone Photo Credits Philippe Antonello
Miriam Leone in Amata.

Deve essere stata quindi una specie di folgorazione per Amoruso la lettura del libro omonimo di Ilaria Bernardini, tratto a sua volta dalla storia vera del ritrovamento di un neonato a Milano insieme ad una lettera drammatica scritta dalla mamma. Una vicenda potente che lascia spazio ad un film ambizioso e che consente una riflessione di ampio respiro sulla maternità come campo concettuale in cui affrontare le crisi del femminile e le criticità del nostro Paese.

Amoruso trova anche un taglio deciso, ponendo le due storie che il film racconta come se fossero costantemente l'una un controcanto dell'altra. La complessità alla fine tradisce i suoi intenti. Il risultato è di una scrittura insicura che alla fine ripiega su un (melo)dramma intimista a tratti didascalico, autoconsolatorio e, purtroppo, scollato sia tra i suoi livelli che tra le sue storie.

Amata: le storie opposte di Nunzia e Maddalena

Amata Tecla Insolia Photo Credits Pilippe Antonello
Tecla Insolia in Amata.

Nunzia (Tecla Insolia) è una studentessa fuori sede che dalla pescheria di famiglia in Sicilia si è trasferita in un appartamento vista Tevere condiviso con altre ragazze con le quali ha un ottimo rapporto. Alla giovane piace andare a ballare, attività in cui trova la libertà e l'agio necessari ad esplorare la sua femminilità e il suo rapporto con il maschile.

Maddalena (Miriam Leone) è un ingegnera edile stimata e in carriera, ha una bellissima casa ed è sposata con Luca (Stefano Accorsi), un pianista di successo. I due formano una coppia borghese sulla carta perfetta, avendo tutti i requisiti che la nostra società pone come condizione per una vita felice e una piena realizzazione individuale. Promesse vuote, la stessa Maddalena dirà al suo Luca che "lui non si può permettere di essere felice".

Amata Miriam Leone Stefano Accorsi Abbraccio Photo Credits Philippe Antonello
Stefano Accorsi e Miriam Leone ancora una coppia.

Il motivo è l'assenza di un figlio. Un buco nero che rischia di inghiottire tutto quello che lo circonda, che è poi, ironia della sorte, la stessa sensazione che prova Nunzia quando scopre di essere incinta. Due facce della stessa medaglia, accomunate dalle medesime paure, pur partendo da posizioni diametralmente opposte, sia dal punto di vista fisico che sociale.

Un film scollato

Amata Set Foto Photo Credits Philippe Antonello
Elisa Amoruso sul set.

Amata inizia con un efficacissimo flash forward che racchiude il senso della pellicola, l'utilizzo del montaggio alternato come un meccanismo cinematografico per far comunicare le vicende e il ruolo che i tre protagonisti assumono in una sorta di ménage a trois metafisico in cui le due donne sono parti attive e l'uomo è una sorte mediatore giudicante. Peccato che però esso esaurisca tanto la potenza evocativa del titolo quanto il suo percorso narrativo.

Da lì in poi parte un altro film in cui la funzione data al montaggio si perde man mano a causa di una scrittura che diventa sempre più meccanica, pedagogica e incerta. Amoruso sembra avere la necessità di reiterare le proprie intenzioni attraverso la spiegazione, la puntualizzazione e l'enunciato, quando invece, sebbene ci siano dei passaggi troppo televisivi, il film dimostra di poter far, semplicemente, parlare le immagini. Lo dimostra nella storia con protagonista Tecla Insolia, la migliore in un trio in cui Miriam Leone e Stefano Accorsi limitano i loro scambi ad un tono tra il dolente e l'austero.

Amata Miriam Leone Stefano Accorsi Photo Credits Philippe Antonello
c due attori sul set di Amata.

Un peccato perché, così facendo, Amata finisce con lo sfaldarsi, non riuscendo a tenere fede alla promessa di far man mano avvicinare due storie sulla maternità all'inizio così distanti e, soprattutto, rinunciando alla possibilità di poter parlare dei paradossi del nostro Paese, che non permette una scelta libera sulla maternità, vincolandola a fattori non solo biologici. Un problema urgente e che la storia aveva tutte le carte in regola per affrontare, ma che invece lascia da parte per concentrarsi su una a volte pedissequa passione di due donne allo specchio, senza un finale che chiuda a pieno il cerchio.

Conclusioni

Amata, tratto dall'omonimo romanzo di Ilaria Bernardini, è il film più ambizioso di Elisa Amoruso. Si tratta di un trattato sulla maternità in cui due storie allo specchio si confrontano con la promessa di riuscire infine a toccarsi. Una pellicola dalle premesse formali chiare e dagli scopi precisi, ma che si perde man mano, vittima della mole della complessità con cui ha a che fare e incapace di sostenere una scrittura che spesso e volentieri si dimostra fragile e insicura, ritirandosi in se stessa.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.0/5

Perché ci piace

  • Le premesse formali e l'approccio alla tematica.
  • La prova di Tecla Insolia.

Cosa non va

  • La scrittura è troppo insicura.
  • Le interpretazioni di Leone e Accorsi non convincono.
  • Il film man mano si scolla, non riuscendo a trovare un compimento definitivo.