Alla ricerca delle Sfere del Drago
Se Charlot è il bastone, la bombetta e i baffetti, se Indiana Jones è la frusta e il cappello a falde larghe, se Batman è il mantello dalla foggia di pipistrello, allora il prode Son Goku, ragazzo scimmia dalla forza incontenibile ma dalla generosità altrettanto illimitata, non è forse identificato dalla capigliatura leonina e ribelle, dalla coda lunga e indomabile e dalla fedele nuvoletta dorata da passeggio? Certo che sì. Per molti teenager che, suonata la campanella dell'ultima ora di lezione, si affrettavano a tornare a casa per seguire il fantasmagorico viaggio di Goku alla ricerca delle mitiche Sette sfere del Drago, Dragon Ball è una vera e propria Bibbia dell'animazione e Akira Toriyama, creatore dell'interminabile manga originale e dell'anime diviso in tre capitoli, il loro Dio. Da questo punto di vista il regista James Wong e lo sceneggiatore Ben Ramsey nell'adattare per il grande schermo le gesta dell'invincibile Sayan (questo è il nome della razza aliena cui appartiene Goku), fanno un po' la figura degli infedeli che violano un testo liturgico con fare sacrilego. Scherzi a parte, i fan della serie sono avvertiti: Dragonball: Evolution ha davvero poco da spartire con l'anime che ha riscosso in questi ultimi anni un successo interplanetario, dando vita a un vero e proprio fenomeno di costume. Certo, non si può dire che la genesi di questo lungometraggio partisse sotto i migliori auspici. L'acquisizione dei diritti da parte della 20th Century Fox, infatti, risale al 2002, ma per parecchio tempo la major non è riuscita a concretizzare il progetto (a quanto pare l'intenzione iniziale era di adattare il secondo capitolo della saga, Dragon Ball Z). La situazione si è sbloccata solo nel 2007 con l'entrata in scena del produttore Stephen Chow (attore e regista cinese responsabile di diversi successi comici come Shaolin Soccer e Kung Fusion) e con l'affidamento della regia a James Wong, artefice della serie di Final Destination.
A scanso di equivoci va detto che la trasposizione per il cinema di un soggetto come quello di Dragon Ball rappresenta di per sé un'impresa a dir poco ardua: la serie conta un numero sterminato di episodi, si snoda attraverso interminabili trame e sottotrame come un vero e proprio romanzo d'appendice postmoderno, e soprattutto si caratterizza per un'impostazione del tutto fantastica, con alcuni momenti davvero bizzarri e grotteschi, che risulterebbero difficilmente credibili in un film live action. Da qui la scelta della produzione di risolvere il problema a monte, decidendo di non rispettare fedelmente l'opera originale e di sostituire l'immaginario fantastico partorito dal visionario Toriyama con un'impostazione più "realistica" da action movie per adolescenti. Così Goku è diventato un teenager (senza coda né nuvoletta al seguito), asso delle arti marziali ma un po' timido e introverso, che frequenta un liceo simile a quelli americani. Nella sceneggiatura cinematografica non ci viene risparmiata neanche la canonica storia d'amore, che in questo caso sboccia tra il protagonista e Chichi, un personaggio del tutto marginale nell'anime ma che qui assurge a rango di vera e propria comprimaria. Insomma, fin qui niente di diverso dal canovaccio tradizionale su cui è costruito l'intero genere adolescenziale del "Karate-kid-movie" (di cui l'ultimo esemplare in ordine di uscita è Never Back Down).Il resto della trama è costituito, invece, da una sorta di "Bignami" della prima delle tre saghe che compongono la trilogia di Dragon Ball, con Goku che deve rintracciare tutte le Sette sfere del Drago per sconfiggere il temibile Piccolo. Anche da questo punto di vista, dunque, le variazioni rispetto alla trama originale non mancano. Tra i più evidenti: la totale scomparsa di alcuni personaggi fondamentali nella serie come Crilin (la fedele spalla di Goku, qui praticamente rimpiazzata da Chichi) e il maialino Olong (probabilmente considerato poco realistico, vista la sua natura "animalesca"). Ma soprattutto la radicale trasformazione della figura del Maestro Muten, che da arzillo (ed erotomane) vecchietto diventa un altrettanto squinternato uomo di mezza età, impersonato dal gigione Chow Yun-Fat. Quel che è peggio è che la componente d'azione, uno dei punti di forza della serie originale, appare trascurata. Gli scontri sono ridotti al minimo (non compare, se non di sfuggita, nemmeno il torneo Tenkaichi!) e, sebbene non manchino alcune soluzioni spettacolari (in particolare nel duello tra Goku e Muten) la resa complessiva è deludente, soprattutto per quanto riguarda lo scontro finale tra Son Goku e Piccolo, decisamente privo di pathos. Ma è meglio chiarire un particolare per sciogliere l'ansia degli appassionati: l'onda energetica, il mitico "Kamehameha", la mossa divenuta il marchio di fabbrica della serie, è stata risparmiata dagli adattatori e compare anche nel film.
Sia ben chiaro, a Dragonball: Evolution non si contesta tanto la mancanza di fedeltà rispetto al complicato intreccio della saga (obiettivamente impossibile da trasporre in un film di poco più di un'ora e mezza), quanto la sostanziale inefficacia nel cogliere lo spirito originale dell'universo di Akira Toriyama, decisamente molto più complesso e sfaccettato, ma anche molto più surreale e ironico. Inoltre, non si può tacere della realizzazione che poteva essere più curata. Dragonball: Evolution è poco più di un B-movie messo in cantiere con povertà di mezzi (soprattutto per quel che concerne gli effetti speciali digitali), diretto in maniera anonima e sceneggiato ricorrendo ai consueti stereotipi del genere. Non riesce a cavarsela neanche il pur talentuoso Justin Chatwin, come imbarazzato nell'impersonare un personaggio venuto fuori da un cartone animato. Il film rimane comunque un dignitoso intrattenimento infantile, ma sconsigliato ai fan di Son Goku. Almeno che non vogliano a tutti costi vedere il loro eroe lanciare un Kamehameha su grande schermo.