Per un artista di origini teatrali e televisive come Gianluca Ansanelli, l'esordio alla regia di un lungometraggio si risolve in una commedia che occhieggia agli anni '80, con un cast proveniente in gran parte dal teatro (a cui si aggiungono le partecipazioni di Ernesto Mahieux e Ricky Tognazzi) e una struttura a episodi tenuta insieme da un filo conduttore "moderno" come quello di un reality show. Il paragone con l'ultimo Matteo Garrone viene ovviamente spontaneo, ma All'ultima spiaggia è in realtà un film ben lontano da Reality: quello della televisione, in fondo, è poco più di un pretesto per la pellicola di Ansanelli, un trait d'union che serve solo a tenere insieme storie indipendenti tra loro, abbastanza diverse anche per stile narrativo. L'unico punto in comune, dunque, è la presenza di personaggi il cui status può essere riassunto, brevemente, dal titolo del film.
Di quest'ultimo, e dei quattro episodi che lo compongono, ci hanno parlato nella conferenza stampa di presentazione il regista e parte del cast (tra loro, Dario Bandiera, Aurora Cossio e Paola Minaccioni) con qualche curiosità sui rispettivi personaggi e sulle storie interpretate.
Ansanelli, come è arrivato al cinema, dopo le tante altre cose fatte nella sua carriera?
Gianluca Ansanelli: Mi è sempre piaciuto il cinema, anche se ci sono arrivato tardi: non c'è stata una strategia precisa. Forse è anche una questione di età, e di avere qualcosa di più da raccontare. Il cinema è sicuramente il mezzo più complesso che ho frequentato, visto che dà la possibilità di raccontare storie con più sfumature.
Per chi fa questo lavoro, forse l'ultima spiaggia è una condizione permanente. Io comunque ci sto bene, mi affascina questo stato di incertezza perché lascia aperte tante possibilità.
I quattro episodi di cui il film si compone sono completamente differenti, sia come stile che come tipo di comicità. Come mai?
E' stata una scelta voluta, volevamo quattro episodi che fossero l'uno diverso dall'altro. E' stato così già dalla scrittura, abbiamo usato toni diversi: il progetto è nato intorno a questo cast, che viene dallo stesso mio ambiente; ci conosciamo tutti da qualche lustro. A quel punto ci è venuto abbastanza naturale, trattandosi di artisti diversi, usare toni diversi per ogni episodio. Io ho inteso cavalcare questa necessità dando anche stili registici diversi: in questo modo, posso anche dire di aver fatto non un film di esordio, ma quattro! Abbiamo voluto raccontare storie che fossero nelle corde di ognuno di loro.
Lei arriva in sala col suo film contemporaneamente a Reality di Garrone. La spaventa il confronto? Cosa pensa dello sguardo del cinema sul mondo della televisione?
L'assonanza tra il cinema e certe forme di televisione è in realtà molto più antica: basti pensare a The Truman Show che arrivava contemporaneamente al Grande Fratello. Ci hanno pensato sia cineasti che autori della televisione, ed è difficile dire chi sia arrivato prima. Di film sui reality ce ne sono stati moltissimi, e tutti diversi: il reality è forse l'unico genere che si possa definire strettamente televisivo. Il film di Garrone è diversissimo dal mio, non c'è possibilità di sovrapposizione: nel suo caso, quella della trasmissione televisiva è una scusa per raccontare altro.
Paola Minaccioni: Sono due film diversi: in uno si parla di alienazione e di uno sguardo distorto sulla realtà, mentre qui c'è il tema della disperazione che diventa pretesto per lo spettacolo.
Ho accettato anche per la presenza di Dario! E comunque, quando ci sono storie comiche con toni lievi, ma che trattano temi ipermoderni, per me è sempre interessante. Serve per fare entrare certi concetti nella testa degli italiani: quella descritta nel film è una storia normale, che accomuna tante coppie.
Dario Bandiera: Il nostro è il classico episodio una con storia d'amore: in più, Paola e Nicole Grimaudo sono attrici bravissime. Il tema attuale e abbastanza divertente: sinceramente non ricordo ora altri film sull'argomento. E' forse anche l'episodio più teatrale dell'intero film.
Giacobazzi, cosa può dirci sul suo personaggio?
Giuseppe Giacobazzi: Mi sono divertito molto a interpretarlo, anche perché è un ruolo comico nonostante stia sempre in divisa. E' in linea con le cose che faccio a teatro, visto che nasco come attore comico.
Gianluca Ansanelli: Il secondo episodio, in effetti, è forse quello più sopra le righe, più grottesco.
Cosa potete dirci invece sul terzo episodio, e sul personaggio di Aurora Cossio?
Gianluca Ansanelli: Forse il terzo episodio è quello della commedia più popolare, con al centro un condominio in cui nessuno si fa i fatti suoi. Lì c'è il ventre, la pancia di una cultura che i protagonisti hanno sempre portato con sé nelle loro esperienze cabarettistiche.
Antonio Giuliani: L'episodio è quello che è stato tagliato più di tutti, originariamente era molto lungo. Nico De Rienzo e Fabrizio Nardi (la coppia Pablo&Pedro) comunque sono amici, e sul set mi sono trovato molto bene con loro.
Faraco, e il suo personaggio, co-protagonista dell'ultimo episodio, da dove arriva?
Carmine Faraco: E' un personaggio un po' diverso da tutti quelli che ho fatto negli ultimi anni, rappresenta un po' un recupero delle mie origini. E' un personaggio con tutti i difetti dei napoletani, traffichino e caciarone, ma che alla fine viene apprezzato anche da un uomo integerrimo come quello interpretato da Ivano Marescotti. E' diverso da quelli che ho fatto in passato: prima facevo semplicemente il delinquente, ora faccio sempre il delinquente, ma facendo anche ridere.
Gianluca Ansanelli: L'ultimo episodio è forse quello che lascia il messaggio più positivo, nonostante il finale sia più malinconico. E' un finale che lascia un po' di speranza, e che permette anche il recupero di valori spirituali.