Dispiace un po' pensare che non solo in Italia si tende a portare sul grande schermo celebrità nate in altro modo. Che una cinematografia come quella francese, forte del suo retaggio autoriale e di un genere ampiamente esplorato, qual è il noir, si veda anch'essa in crisi di idee. Certo accade quando i prodotti di questo tipo sono sostenuti da sceneggiature troppo semplici e troppo prevedibili. Eppure All That Divides Us , Tout nous sépare il titolo originale, più che un noir è un film di piccola delinquenza, che racconta di persone che si immergono in cose più grandi di loro, pensando di saperle gestire. Nel noir classico non c'è redenzione perché non c'è peccato, solo la disillusione della differenza su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
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Una storia di delinquenza in una città portuale
Le città portuali sono ricettacolo di delinquenza e spaccio in ogni nazione. Ed è in questa piccola delinquenza che restano incastrate una ricca imprenditrice e sua figlia, costretta a sopportare dolori molto forti per un infortunio a una gamba. La giovane donna non riesce a tollerare il dolore fisico, né quello psicologico di tutto questo e diventa dipendente dalle droghe. Contemporaneamente ha instaurato un rapporto altrettanto tossico con il suo spacciatore. Un giorno, dopo un incontro amoroso condito da diverse sostanze, i due hanno una violenta lite e lei lo uccide. Ciò che ne consegue è una storia di occultamento, ricatti, dipendenza da droghe e perversioni varie. Una vicenda che intreccia la redenzione, forse impossibile, alla mancanza di scrupoli. Che però, al contempo, scorre via in modo tanto lineare quanto prevedibile.
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Due attrici e un rapper francese
Sembra l'incipit di una barzelletta sconcia, ma è invece la composizione del cast. Ci sono due belle attrici bionde, due sex symbol per le rispettive generazioni, e un rapper francese che spopola fra i giovani della sua nazione. Basta metterli insieme e il gioco sembra fatto: la ricetta perfetta per il successo. Ma poi qualcosa deve essere andato storto. Diane Kruger più fredda che mai, distaccata e mal diretta dal regista Thierry Klifa, dà una prova d'attrice piuttosto mediocre. Forse riesce addirittura meglio il giovane rapper Nekfeu, attorno al quale il film sembra essere costruito. Catherine Deneuve, invece, resta l'impeccabile ed elegante interprete che conosciamo, regalando al suo personaggio gli sguardi più significativi della pellicola.
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Realizzazione semplificata, come fosse per la TV
Il termine "televisivo" è stato talmente abusato per descrivere i film italiani da risultare indigesto a chi scrive. Eppure si può usarlo in maniera propria, come in questo caso. Una fotografia troppo assolata, troppo accesa, troppo piatta ne è il primo segnale. E poi tutta una serie di crimini sempre peggiori, come in un vortice dal quale è impossibile uscire, messi lì in una successione che è tipica del perverso voyeurismo del pubblico televisivo assuefatto a vedere di tutto senza provare empatia. E allo stesso modo, anche il finale, in cerca di una redenzione superiore, è scaldato al microonde e servito dagli scaffali di un ipermercato di massa.
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2.0/5