Un film ruvido, che lascia in bocca il sapore di una sbornia. Con Alcolista, Lucas Pavetto si lascia alle spalle l'esordio nell'horror, anche se in molti momenti continua a essere debitore del genere. Alcolista è un incubo lungo 145 minuti; incubo non solo per la drammaticità della storia, ma anche per la modalità narrativa che, a tratti, abbandona la concatenazione logica degli eventi disseminando il film di ellissi e continui passaggi sonno/veglia, e per l'atmosfera onirica che si respira dall'inizio alla fine.
La dimensione indie del progetto si riflette nel look, che comunque denuncia una certa ambizione da parte del suo autore. E se il motto di Marina Abramovic, Less is more, è applicabile anche al grande schermo, Lucas Pavetto amministra saggiamente il budget a disposizione. Pochi i personaggi presenti in scena. Focus di Alcolista è Daniel, alcolizzato distrutto dall'esistenza dopo aver perso moglie e figlia in un incidente stradale che affoga i dolori nella bottiglia in una sbornia perenne. Nei rari momenti di lucidità, l'uomo torna a pianificare l'omicidio del vicino di casa, colpevole di aver provocato l'incidente che ha spazzato via la sua famiglia. Una notte, però, in un negozio di liquori, Daniel fa la conoscenza di Claire, assistente sociale dal passato oscuro che decide di aiutarlo a disintossicarsi con metodi più o meno leciti.
Gocce di gin come morte
A interpretare Daniel serviva un attore capace di risultare credibile in una situazione estrema, un attore che sapesse simulare una dipendenza così esplosiva caricandosi sulle spalle il peso del film. Lucas Pavetto ha affidato il ruolo all'americano Bret Roberts, che aveva già diretto nel precedente The Perfect Husband. Roberts non teme di mettersi in gioco. Il volto ricoperto da una folta barba, lo vediamo ubriacarsi, imprecare, tremare in preda alla crisi di astinenza, piangere e svenire. Pur in un ruolo così estremo, l'attore mantiene una compostezza di fondo che si sposa con l'ambientazione anglosassone. Alcolista è stato, infatti, girato a Buffalo, nello stato di New York, e questa dimensione a noi lontana rende più credibile la spirale di follia in cui il personaggio sprofonda.
Il film si apre in medias res, con Daniel in preda alla rabbia mentre è intento a spiare il vicino, lacerato da un dissidio interiore, consumato dal desiderio di vendicarsi e dal disgusto all'idea di spegnere una vita. L'inizio di Alcolista ha il sapore dell'incubo kafkiano e il fascino morboso di La finestra sul cortile, ma è anche un film estremamente violento, di una violenza interiore, disturbante, legata alle crisi di Daniel e ai racconti degli ex alcolisti fatti alle assistenti sociali. E' la voglia del regista di realizzare una pellicola che turbi gli animi, ma che possieda un chiaro sottofondo didattico, a tratti perfino troppo (si pensi alla scena in cui Claire convince Daniel a farsi accompagnare a casa).
Niente è come sembra
Ciò che funziona maggiormente in Alcolista è proprio la scelta di usare il tema della dipendenza per occuparsi d'altro. Restando fedele alle origini, Lucas Pavetto descrive incubi etilici e crisi d'astinenza con gli stilemi tipici dell'horror. Così gli insetti che brulicano sul corpo di Daniel, ma che in realtà esistono solo nella sua mente allucinata, sembrano presi di peso da un racconto di Edgar Allan Poe, mentre la prigionia autoimposta nel tentativo di disintossicarsi ha i toni dark e spaventosi di un thriller. Al di là dell'aspetto stropicciato e dei continui scatti di violenza, il personaggio di Daniel rivela una drammatica fragilità, una debolezza di fondo che non sta tanto nell'aver ceduto all'alcool quanto nel non riuscire a portare a termine la vendetta che si è prefissato.
Niente è ciò che sembra. Il dramma si trasforma in un revenge movie, il realismo si fa da parte per lasciare spazio a toni visionari e morbosi, e anche la bella assistente sociale che combatte le dipendenze nasconde un insospettabile lato oscuro. A interpretarla Gabriella Wright, che ha l'intelligenza di dare al suo personaggio un alone di ambiguità, rendendola enigmatica e misteriosa agli occhi dello spettatore. Il numero limitato di personaggi e la ripetitività di certe situazioni alla lunga potrebbero rischiare di penalizzare Alcolista, ma Lucas Pavetto dimostra di aver già sviluppo un sapiente controllo della narrazione gestendo con equilibrio l'alternanza tra momenti di massima tensione e vuoti improvvisi e inserendo alcune variazioni che, seppur minime, riaccendono costantemente l'interesse sulla storia. Il tasso di angoscia si mantiene alle stelle fino al gran finale e quando pensiamo che tutto si sia concluso, un colpo di scena inaspettato getta una luce diversa sul film lasciandoci qualcosa su cui riflettere.
Movieplayer.it
3.5/5