I personaggi dei miei film cercano di vivere onestamente e di trarre il massimo dalla vita che è stata data loro. Le persone che riescono a far questo sono i veri eroi.
C'è un incrollabile umanesimo che percorre tutto il cinema di Akira Kurosawa: un senso di comprensione, di vicinanza, di empatia verso i suoi personaggi, costretti a fronteggiare le avversità dell'esistenza sotto molteplici forme e, inesorabilmente, a compiere fatidiche scelte morali. L'attenzione agli esseri umani, di ogni categoria sociale e di diverse epoche storiche, è del resto una costante nell'opera del regista giapponese, rispetto alla quale Kurosawa ha confessato un debito verso uno dei suoi maestri, Yasujiro Ozu, altro gigante del cinema mondiale.
Scomparso a Tokyo il 6 settembre 1998, esattamente due decenni fa, all'età di ottantotto anni, Akira Kurosawa è uno di quei registi talmente 'immensi' che sarebbe impossibile sintetizzarne il valore in poche righe. Per il grande pubblico, il suo nome è legato soprattutto alla figura del samurai, che proprio Kurosawa ha introdotto nell'immaginario cinematografico attraverso i suoi film più famosi, a partire dal classico I sette samurai (inserito puntualmente nelle varie classifiche dei migliori film della storia). Eppure la produzione del regista nipponico è ben più complessa e non si limita a spaziare fra un'ampia varietà di generi, ma ha adottato approcci di volta in volta differenti: da uno scrupoloso realismo all'incursione nei territori dell'immaginazione e dell'onirico.
Insignito del Leone d'Oro alla carriera al Festival di Venezia 1982 e del premio Oscar alla carriera nel 1989, Akira Kurosawa ha esercitato un'influenza più o meno riconosciuta anche al di fuori del paese del sol levante, e perfino in un genere in apparenza da lui lontanissimo come la fantascienza: basti ricordare che, nel costruire la trama del primo Guerre stellari, George Lucas ha fatto costante riferimento all'opera di Kurosawa, in primo luogo a La fortezza nascosta. E per chi volesse approfondire la conoscenza del leggendario regista nipponico, vi suggeriamo di seguito, in ordine cronologico, sette titoli davvero imprescindibili della sua splendida filmografia...
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1. Rashomon (1950)
Dodicesimo lungometraggio di Akira Kurosawa, Rashomon è l'opera della sua improvvisa e folgorante consacrazione internazionale: nel 1951 approda al Festival di Venezia, dove viene insignito del Leone d'Oro, e pochi mesi più tardi conquista anche l'America, ottenendo l'Oscar come miglior film straniero. Basato su due racconti dello scrittore Ryūnosuke Akutagawa, Rashomon è costruito come l'indagine sull'omicidio di un samurai (Masayuki Mori), ucciso all'interno di un bosco dal brigante Tajomaru (Toshirô Mifune, volto-simbolo del cinema di Kurosawa). Ma l'impatto rivoluzionario dell'opera, ciò che ne decreterà l'assoluta importanza nei decenni a venire, deriva dall'innovativa struttura drammaturgica di Rashomon: il delitto è rievocato infatti da quattro punti di vista soggettivi e inesorabilmente contraddittori, mettendo così in discussione l'affidabilità della narrazione e incrinando la nozione stessa di "verità".
2. Vivere (1952)
Realizzato in Giappone nel 1952, Vivere segna in qualche modo il culmine e il punto d'arrivo della prima fase nella carriera di Akira Kurosawa, dopo quasi un decennio di attività: una fase in cui il realismo nella descrizione della società giapponese, in particolare dei suoi strati più deboli, si fonde con alcuni elementi del poliziesco e del noir. Liberamente ispirato al racconto di Lev Tolstoj La morte di Ivan Il'ic, Vivere narra le ultime settimane di Kanji Watanabe (Takashi Shimura), un impiegato di mezza età che si prepara ad affrontare la morte dopo aver appreso di essere malato. Struggente ma senza mai sfociare nel patetismo, Vivere si propone come un'intensa riflessione sul valore dell'esistenza e sulle scelte etiche dell'essere umano.
3. I sette samurai (1954)
Due anni dopo Vivere, Akira Kurosawa cambia direzione e firma il suo magnum opus: I sette samurai, un'opera ambiziosa e spettacolare che ottiene il Leone d'Argento al Festival di Venezia 1954 e avrà un enorme impatto sul pubblico dell'epoca (è del 1960 il remake in chiave western diretto da John Sturges, I magnifici sette). La trama, ambientata nel Giappone del sedicesimo secolo, è ben nota: gli abitanti di un villaggio di montagna sanno che presto verranno aggrediti e depredati da una banda di briganti, intenzionati a impossessarsi del loro raccolto; decidono così di ingaggiare dei samurai che si prendano il compito di difenderli, nonostante non abbiano la possibilità di offrire loro del denaro. Ne I sette samurai, Kurosawa fonde l'avventura e il senso dell'epos con un magistrale studio dei personaggi, imperniando il racconto sul legame che si instaurerà, giorno dopo giorno, fra i samurai e la comunità di contadini.
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4. Trono di sangue (1957)
William Shakespeare è stato uno degli autori più amati da Akira Kurosawa, uno di quelli che hanno contribuito alla sua formazione e a cui il regista avrebbe reso omaggio con due delle proprie pietre miliari. La prima, datata 1957, è Trono di sangue, una trasposizione di Macbeth nella cornice del Giappone feudale: Toshiro Mifune interpreta il ruolo principale, Taketoki Washizu, un nobile assetato di potere che si lascerà incantare da una profezia e, divorato dalla propria ambizione, compirà un eccidio pur di arrivare al trono; la Lady Macbeth di turno è invece Asaji (Isuzu Yamada), la spregiudicata moglie di Washizu. In Trono di sangue, Kurosawa conserva lo spirito della tragedia shakespeariana trasferendolo all'interno di un film di estrema suggestione e visivamente sorprendente.
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5. Dersu Uzala - Il piccolo uomo delle grandi pianure (1975)
Dersu Uzala è un'opera spartiacque nel percorso di Akira Kurosawa: è il suo primo film girato in una lingua diversa dal giapponese e segna il suo ritorno al cinema dopo ben cinque anni di assenza e un periodo estremamente tormentato nella vita privata. Ad offrire al regista lo spunto per la pellicola è un libro di memorie dell'esploratore russo Vladimir Arsen'ev, impersonato dall'attore Yuri Solomin, che all'inizio del Novecento, mentre è in viaggio in una regione costiera della Russia orientale, ingaggia come guida un uomo del luogo, Dersu Uzala (Maksim Munzuk). Nelle mani di Kurosawa, Dersu Uzala si rivela la commovente cronaca dell'amicizia fra questi due uomini: l'opera registra un vastissimo successo e Kurosawa, sotto le insegne dell'Unione Sovietica, si aggiudica un secondo Oscar per il miglior film straniero.
6. Kagemusha - L'ombra del guerriero (1980)
Cinque anni dopo Dersu Uzala, Akira Kurosawa torna in Giappone, e alla storia del sedicesimo secolo (nello specifico, il periodo Sengoku), per il suo nuovo progetto: Kagemusha - L'ombra del guerriero, altra riflessione sui lati oscuri del potere e sulla dicotomia tra realtà e finzione. A uno degli attori favoriti di Kurosawa, Tatsuya Nakadai, è affidato un memorabile doppio ruolo: quello del "signore della guerra" Shingen Takeda, ferito gravemente e desideroso di non far giungere ai nemici la notizia della propria morte imminente, e del sosia (il significato del termine kagemusha) incaricato di prenderne il posto, immedesimandosi nel ruolo di Takeda. Lo spunto quasi pirandelliano della trama confluisce in uno spettacolare kolossal storico, arricchito da numerose sequenze da antologia (incluse quelle dei sogni del protagonista). Prodotto con il sostegno di Francis Ford Coppola e George Lucas, Kagemusha - L'ombra del guerriero è stato ricompensato con la Palma d'Oro al Festival di Cannes 1980 e la nomination all'Oscar come miglior film straniero.
7. Ran (1985)
Ancora più imponente, dopo Kagemusha, è la successiva pellicola diretta da Akira Kurosawa: il suo capolavoro della maturità, ma soprattutto uno dei più grandi film di ogni epoca. Ispirato ancora una volta a Shakespeare, Ran è un adattamento di Re Lear nel Giappone feudale, dove il sovrano Hidetora Ichimonji, interpretato sempre da uno straordinario Tatsuya Nakadai, si accinge a suddividere il proprio regno fra i tre principi; ma i suoi due figli maggiori, ansiosi di mantenere il potere acquisito, decidono di rinnegare il padre, che precipiterà inesorabilmente verso il baratro della follia. Se la macrosequenza dell'assedio alla fortezza di Hidetora rimane fra le pagine più impressionanti che il cinema bellico ci abbia mai regalato, l'intero film è un'opera maestosa e sconvolgente, in cui il talento di Kurosawa dà vita a un doloroso ritratto della follia umana attraverso una messa in scena che incanta a ogni inquadratura. Forse la più bella rivisitazione shakespeariana mai portata al cinema, Ran ha vinto il premio Oscar per i migliori costumi ed è valso a Kurosawa la sua unica nomination come miglior regista.