Sul finire degli anni Trenta del diciannovesimo secolo, James Brooke è un commerciante britannico che decide di abbandonare una patria che ormai non sente più sua per una vita all'insegna dell'avventura. Lasciata la fidanzata Elisabeth, sua promessa sposa, l'uomo parte così per il Borneo insieme al cugino Arthur Crookshank e al nipote Charley, spacciandosi come emissario della Corona inglese e ottenendo di essere ricevuto dai principi del Brunei, Makota e Berdruddin.
Come vi raccontiamo nella recensione di Ai confini del mondo - La vera storia di James Brooke, il protagonista rimane incredibilmente affascinato dal luogo e dalla cultura e a differenza degli altri suoi connazionali non vede quel popolo come una tribù di selvaggi. James finisce anche per innamorarsi di una donna locale, concubina, e attira le sempre più evidenti attenzioni di uno dei principi, decidendo poi di restare anche al termine della sua missione. Determinante nel processo di pacificazione, diventerà Rajah (ovvero sovrano di uno stato autonomo) di Sarawak, ma la sua nomina gli attirerà diversi nemici e anche la stessa madre patria non starà a guardare...
L'uomo che volle farsi re
Le potenzialità dietro a un progetto di questa portata erano enormi, ma quando ci si cimenta con personaggi e storie così epocali bisogna anche aver a disposizione i mezzi necessari per dar vita ad una messa in scena che vada di pari passo con quanto raccontato. E invece Ai confini del mondo - La vera storia di James Brooke pare soffrire di balbuzie, come un alunno ripetente che ha paura al momento dell'interrogazione. Non sono soltanto i pur comprensibili limiti di budget a lasciare con l'amaro in bocca ma è proprio a livello concettuale che l'operazione non riesce a rivelarsi mai convincente. Quel senso di grandezza e magniloquenza insito in un materiale così denso e ricco di suggestioni viene meno, depauperato da una sceneggiatura che taglia qua e là tra sbalzi temporali e scelte di montaggio poco efficaci che snaturano sul nascere l'ipotetica atmosfera di fondo.
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Vorrei ma non posso
Eppure fin dai primi minuti si intravede che almeno a livello registico si vorrebbe tentare di osare qualcosina di più, con echi che rimandano a capolavori del calibro de La sottile linea rossa (1998) nella gestione dei giochi di luce nel contesto ambientale, una natura selvaggia e rigogliosa che però non riesce mai a trasmettere quell'effettivo senso di stupore misto a inquietudine, con pericoli che potrebbero nascondersi dietro ogni insenatura o tra le foglie di piante secolari. L'arte della diplomazia che sembra guidare le mosse del protagonista non è supportata a dovere da una scrittura spesso raffazzonata, che impedisce alla personalità dei personaggi di emergere con tutte le loro sfaccettature: anzi tutto è reso troppo palese e scontato, senza quelle ambiguità che avrebbero potuto rendere più interessante questo gioco di astuzia e amore, limitandosi a una distinzione netta tra buoni e cattivi alquanto accademica. Basti pensare che la figura di Brooke ha ispirato Joseph Conrad nella stesura di uno dei suoi romanzi più famosi, Lord Jim, per capire la portata dell'occasione sprecata.
Poco da fare
Manca il pathos, manca la tensione, manca l'epos e non poteva essere altrimenti anche data la durata limitata, un'ora e quaranta, quando ormai il minutaggio medio di produzioni sul tema viaggia su lunghezze ben maggiori. Diverse sottotrame restano inesplorate, altre risolte in maniera rocambolesca e a pagarne dazio è soprattutto il cast, sballottato qua e là nel corso di eventi sempre più inutilmente frenetici, fino a quella disperata resa dei conti finale dove solo la forza impetuosa dell'acqua può asciugare il sangue dei vinti e dei vincitori. Ed è un peccato vedere Jonathan Rhys Meyers impegnarsi così tanto nelle vesti del protagonista, con i suoi sforzi resi vani dalla scolastica rappresentazione ad opera di Michael Haussman, regista proveniente dal mondo dei videoclip che nel cinema deve ancora trovare la sua strada. Nel cast compare anche nelle vesti di fondamentale spalla il Dominic Monaghan caro ai fan de Il signore degli anelli - era Merry nella trilogia di Peter Jackson - anch'esso vittima di un personaggio schiavo degli eventi.
Conclusioni
L'incredibile epopea vissuta da James Brooke, avventuriero inglese che trovò fortuna nelle Indie a metà del diciannovesimo secolo, diventando Rajah di Sarawak ma attirandosi al contempo molte antipatie, locali e non. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Ai confini del mondo - La vera storia di James Brooke, ci troviamo davanti ad un kolossal mancato, nel senso che la base aveva tutte le potenzialità per offrire un'epica degna di nota ma vuoi per il budget limitato, vuoi per regia e scrittura non all'altezza, qualcosa è andato storto. Dispiace perché il racconto della vita di Brooke era ricco di aneddoti e sfumature, ma qui la messa in scena soffre di un montaggio freddo e didascalico che spezzetta troppo il racconto e toglie pathos e senso del tempo allo scorrere cronologico, ponendo in secondo piano anche le volenterose interpretazioni del cast guidato da Jonathan Rhys Meyers.
Perché ci piace
- Paesaggi mozzafiato.
- Jonathan Rhys Meyers guida un cast decoroso...
Cosa non va
- ... che deve però fare i conti con personaggi che risultano soltanto abbozzati.
- Le scelte di sceneggiatura e un montaggio sbilenco privano il racconto di epica e tensione.