Agresti presenta Tutto il bene del mondo

Il regista argentino è volato a Roma per presentare la sua ultima fatica alla stampa italiana.

Dopo il passaggio in sordina all'ultima Mostra del cinema di Venezia arriva sugli schermi italiani Tutto il bene del mondo, il nuovo film di Alejandro Agresti. A presentarlo è lo stesso regista che, rispondendo alle domande dei giornalisti romani, parla della sua Argentina e svela quella che, secondo il suo punto di vista, potrebbe essere la soluzione per vivere in un mondo meno peggiore.

Che reazione si aspetta dagli argentini visto che il suo film va a toccare più di un nervo scoperto?

In Argentina ci sono due possibili reazioni al film. Da una parte c'è la critica, che in questo momento non è molto favorevole o interessata a temi che riguardano il passato politico del paese. Questo succede perché c'è una nuova generazione di critici molto giovani che si schierano a sinistra solo perché è politicamente corretto (in Argentina quello Comunista non è mai stato un partito di massa, non è mai arrivato al potere ed è caratterizzato da un profondo idealismo, ndr) ed è una moda. Sono persone che non hanno fatto nulla di politico, ma sostengono questa posizione perché pensano che li elevi politicamente. Se un film tratta il tema dei desaparecidos, e il mio lo tratta molto vagamente, la critica si mostra disinteressata, preferendo il documentario alla finzione. Dall'altra parte c'è il pubblico, la gente che convive con questo passato ma che deve andare avanti e a me è questo che interessa. Io faccio film per il pubblico, non per la critica.

Con quali criteri ha scelto le interpreti femminili?

In Argentina ci sono molti bravi attori e quindi c'è il privilegio di un'ampia possibilità di scelta. Alcuni attori avevano già lavorato con me, come per esempio Rodrigo Noya, Carlos Roffé, Mex Urtizberea, Julieta Cardinali. La protagonista, Monica Galan, non credo sia apprezzata quanto meriti. In Argentina gli attori per vivere sono costretti a lavorare in televisione, a partecipare a programmi televisivi dove non hanno modo di dimostrare o sviluppare le proprie capacità. Un'attrice come Monica Galan deve guadagnare i suoi soldi lavorando in questo mondo, ma ai miei occhi è sempre stata una grande attrice. Con una donna è difficile lavorare perché c'è sempre il pericolo che me ne innamori, ma è proprio questo che cerco: una donna forte, con grandi qualità, che è capace di toccare i sentimenti.

Perché un titolo come Tutto il bene del mondo?

In realtà il titolo originale è Un mundo menos peor (in italiano: "un mondo meno peggiore", ndr) e viene da una parte del dialogo dove l'uomo dice di aver lottato per un mondo migliore e il ragazzo, per farlo reagire, gli dice che forse sarebbe meglio aspirare ad un mondo meno peggiore. La storia ci insegna che molti grandi disastri sono stati fatti in nome di un mondo migliore. Chi cercava di migliorare il mondo ha causato invece grande sofferenza. La cosa più meravigliosa di questo mondo è la diversità, le differenze di pensiero. Il problema della modernità è che non sempre si riesce a convivere con questa diversità. La gente non sa vivere con istinto, non sa accettare il punto di vista dell'altro. Il film parla di cose molto delicate e a cui il pubblico e la critica sono molto sensibili. Credo che in Argentina la democrazia non esista, non sia sviluppata o non venga usata. In Argentina se uno non condivide l'idea dell'altro subito si è pronti ad etichettarlo come un ladro. La democrazia non è dare un voto, infilare una scheda in un'urna. Borges definiva la democrazia come un abuso della statistica. La democrazia non dovrebbe essere nulla di tutto questo, ma il saper rispettare il punto di vista dell'altro.

E' certamente vero che in nome delle grandi utopie si sono creati grandi disastri, ma forse oggi è altrettanto pericoloso accontentarsi di un mondo meno peggiore, che alla fine potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio.

Il problema è che noi viviamo con i media, che non sono mai stati così sviluppati come oggigiorno. I media non prevedono sfumature, sono binari, adottano quello che è il più comune sentire: non dovrebbe esistere la povertà, c'è bisogno di più giustizia, eccetera. Il problema è come arrivare a un mondo migliore. E' molto facile, idealista, adolescenziale avere un'idea del bene e del male e volere che le cose vadano bene. Quello che dovremmo capire è che l'altro ti può insegnare qualcosa. Se ci limitiamo ai mass media non impariamo niente. C'è bisogno di uno sforzo collettivo. Chi dice che Bush è un figlio di puttana non sembra rendersi conto che Kerry è qualcuno che si dichiara contrario alla guerra in Iraq ma poi va fiero di aver difeso il suo paese in Vietnam. Ma da chi l'ha difeso? La gente prende tutto quello che gli viene dato senza elaborarlo. L'Argentina è un paese che è rimasto bloccato. Il governo militare ha arrestato il paese, la sua crescita. Al paese costa moltissimo ripartire e tornare a credere. C'è un atteggiamento paranoico tra le persone: nessuno si fida più di nessuno. Succede lo stesso anche in economia e così molta gente preferisce affidare i propri risparmi alle banche estere. L'atteggiamento più diffuso è quello di trincerarsi dietro queste difese. Molti argentini non credono nel paese, vogliono solo avere un orticello e non curarsi di problemi più grandi. La storia d'amore nel film rappresenta un'allegoria di questa situazione, una possibile reazione a questo trinceramento.

Dove è stato girato il film?

In un piccolo villaggio, Mar Viejo. E' un paese dove andavo da piccolo in vacanza e dove mio nonno ha vissuto per trent'anni. Alla fine è morto lì. La sua popolazione è composta per il 90% da immigrati napoletani.

Una cosa che colpisce del suo film è che questo lavoro di ricostruzione lo fanno le donne e i giovani, mentre i tre adulti sembrano essersi arresi. Questo significa che una certa generazione maschile ha perso la propria vitalità?

Sì, l'uomo in Argentina ha perso questa vitalità. E' molto più facile non credere che credere. Per credere c'è bisogno di grande vitalità. Io odio tutti quelli che criticano, ma non fanno nulla. Nella vita si incontrano molti tipi di persone e a me piace la gente che crede, forse sbagliando, ma crede. In Valentin (il precedente film diretto da Agresti, ndr) ad un certo punto si parla di Che Guevara, uno che ha dato la propria vita per quello in cui credeva. Stimo chi muore per un ideale, non come Bush che parla di un ideale ma non rischia la propria pelle.

Questo conflitto interiore è ancora così forte in Argentina?

Ci sono molte ragioni per le quali l'Argentina è paralizzata, come la paura e la vergogna. Il problema è come risolvere questi traumi. Non basta nella vita raggiungere la pace personale, come Cholo che desidera dimenticare il passato, fare il panettiere e credere che così tutto vada bene. E' un tipo di conformismo molto pericoloso. Uno nella vita può andare avanti o stare in un punto morto. A me fanno paura le persone che restano in questo punto morto. Credo che sia un male che possiamo guarire. Purtroppo però la gente non impara dal dialogo, dai libri o dalle esperienze, ma solo dai media. Sono convinto che il prossimo passo da fare sia quello di non credere più a tutto quello che ci dicono i mass media.