Acrid: Kiarash Asadizadeh presenta a Roma il suo esordio

In occasione della presentazione al Festival di Roma, in concorso, del suo interessante film d'esordio, il regista iraniano ha incontrato la stampa per spiegarne la genesi e i legami con l'attuale, complessa realtà del suo paese.

In un panorama problematico e contraddittorio, ma caratterizzato da un notevole fermento, come quello dell'attuale cinema iraniano, Acrid rappresenta sicuramente un esordio interessante. Il film di Kiarash Asadizadeh va infatti a indagare su una realtà come quella della famiglia nel contesto di una società in lenta, ma costante, trasformazione, mettendone in evidenza le contraddizioni e i punti critici. Un'opera che ha, nel suo carattere corale e nella sua peculiare struttura narrativa, due dei suoi principali motivi di interesse: ce ne ha parlato lo stesso regista nella conferenza stampa del Festival del Film di Roma, dove la pellicola è stata presentata in concorso.

Quant'è stato difficile, nell'Iran attuale, fare un film come questo?
Non abbiamo avuto nessuna difficoltà particolare, o meglio siamo stati in linea con le difficoltà che hanno tutti i cineasti nel nostro paese. Ora siamo in trattativa con le autorità per la proiezione del film sul territorio iraniano, ma siamo a buon punto.

Nel presentarlo, lei ha parlato di un film sulla famiglia; ma, in realtà, questo, sembra più un film sulle donne. Sembra che il genere femminile abbia una coscienza maggiore dei rapporti e del mondo. E' così?
Non voglio considerarlo un film sulle donne, nonostante non neghi l'importanza della componente femminile nella trama: io però insisto sul fondamento della struttura familiare.

Qual è, quindi, la sua visione della famiglia attuale in Iran? Il film, tra l'altro, attraversa un po' tutte le classi sociali.
Guardandomi indietro, ricordando la mia esperienza e osservando le famiglie attuali, ho l'impressione che la struttura familiare si stia allentando: ora i membri delle famiglie hanno meno rispetto l'uno verso l'altro. Sembra però che questa sia una cosa vasta, che si verifica in tutte le parti del mondo e non solo in Iran.

Dal film sembra emergere anche un contrasto di valori: certe donne rinunciano a fare una scelta, perché si sentono legate al loro ruolo di mogli e madri.
Le donne iraniane si trovano indubbiamente in questo contrasto, quello tra la società tradizionale e le scelte di modernità. Negli ultimi anni, tuttavia, abbiamo visto donne che hanno avuto più coraggio nel prendere decisioni anche molto dure per la loro vita.

Il film ha una struttura circolare, si compone di varie storie con intensità diverse. Non aveva paura di perdere un po' dei "pezzi", strada facendo?
La forma doveva essere a disposizione della sostanza: questa forma ormai è accettata dallo spettatore, e sinceramente non credo nel film ci sia dispersione. Certo, con una struttura del genere può capitare di sacrificare qualcosa in termini di approfondimento, ma non credo si possa parlare di dispersione.

Forse, la struttura circolare vuole rappresentare anche una sorta di universo chiuso, senza via d'uscita?
No, veramente non avevo questa intenzione. La struttura rappresenta un po', semmai, il modo di pensare della gente del mio paese: ovvero la teoria di causa ed effetto, quella per cui se fai un'azione, positiva o negativa che sia, questa prima o poi ti ritorna indietro.

Un tema centrale sembra essere anche il tradimento. Da cosa è stato spinto ad affrontare questo argomento?
E' un tema che nel mio paese sta crescendo a vista d'occhio: come cineasta non posso fare a meno di vederlo e tentare di raccontarlo.