Non solo La La Land, nei nostri cinema l'amore rivive anche grazie ad A United Kingdom - L'amore che ha cambiato la storia, il nuovo film della regista Amma Asante questa volta alle prese con una storia d'amore dai contorni epici. Rosamund Pike (L'amore bugiardo - Gone Girl) e David Oyelowo (Selma - La strada per la libertà) interpretano Ruth Williams e Seretse Khama, la segretaria inglese e il principe africano che scatenarono una crisi diplomatica tra l'Inghilterra del dopoguerra e il Sud Africa all'era dell'apartheid.
Il razzismo, la segregazione, l'esilio. Sono solo alcune delle difficoltà che questa coppia affrontò con coraggio per difendere il proprio amore dall'arretratezza dei tempi, dall'ignoranza e dagli interessi economici e politici delle proprie nazioni di appartenenza. A cinquant'anni dall'indipendenza del Botswana, di cui Seretse divenne il primo ministro eletto democraticamente, esce il film che celebra l'incontro che ne determinò la storia. La regista Amma Asante ci racconta cosa ha significato per lei il suo coinvolgimento in questo progetto, da regista e da donna. Ma più di ogni altro la cineasta britannica di origini ghanese si sente di elogiare l'impegno di David Oyelowo che prima di tutti gli altri ha creduto nella forza di questo progetto in cantiere da oltre sei anni.
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Una storia unica, di amore e di coraggio
Quali sono i motivi che l'hanno spinta ad accettare di dirigere questo film?
Ho trovato questa storia di grandissima ispirazione e mi hanno colpito gli effetti che può avere la straordinaria combinazione di amore e coraggio. Quello di Ruth e Seretse non è una semplice storia d'amore ma un meraviglioso esempio di tenacia. Io stessa nei loro panni ad un certo punto avrei demorso pensando che lo sforzo chiesto in cambio di questo amore fosse troppo duro.
Quando è venuta a conoscenza di questa storia?
Me ne ha parlato David Oyelowo, la persone a cui più di tutte questo progetto deve la sua realizzazione. Stavo per trasferirmi in Danimarca e mi arrivò una chiamata sul tardi. Mi disse che aveva un progetto pieno di passione di cui voleva parlarmi e che credeva che io fossi la regista giusta. Ero molto riluttante perché impegnata ma lui mi ha quasi obbligata a tuffarmi anima e corpo nel film. Dopo aver letto il libro da cui è tratto, Color Bar di Susan Williams non potevo veramente sottrarmi.
Qual è stata la sfida più difficile da affrontare per lei?
Provare a condensare una storia così complessa in un film che non superasse le due ore di durata e raccontarne le implicazioni politiche attraverso sole scene d'amore. E la lezione numero uno: la bellezza risiede nei dettagli.
Cosa risponde a chi le imputa di aver mostrato un'Africa da cartolina?
Le immagini del film sono state tutte girate in location e l'Africa che ho mostrato era quella che appariva ai miei occhi di bambina ogni qualvolta tornavo in vacanza nella terra d'origine di mia madre. La bellezza di quei tramonti e di quelle albe mi ha ispirata. Quelle aree rurali mi davano una sensazione di libertà mai provata prima. Quella è l'Africa che conosco, che senso avrebbe avuto scegliermi per girare questo film e non darmi la libertà di offrire il mio sguardo su quel continente.
La diversità è un valore aggiunto
Che film sarebbe stato se a dirigerlo fosse stato un regista bianco e di sesso maschile?
Credo che avrebbe faticato ad includere il punto di vista delle donne africane e e si sarebbe concentrato di meno sulla solidarietà femminile che per me è un valore imprescindibile. Al contrario la politica avrebbe avuto un ruolo preponderante. In questo mestiere mi sono preoccupata di conoscere tutte le regole chiave per poterle infrangere una ad una.
Oltre al suo c'è un altro film che quest'anno avrà per protagonista un matrimonio interrazziale ed è Loving di Jeff Nichols. Il confronto le mette ansia?
No, assolutamente anzi ne sono felice. Quando nel mondo del cinema ci battiamo per la diversità non è per escludere qualcuno ma per includere altri. Trovo straordinario che queste storie vengano raccontate da punti di vista diversi, sarebbe problematica la situazione contraria. Non ho ancora visto Loving ma muoio dalla voglia! Credo che sia un privilegio per noi registi di colore avere finalmente la possibilità di raccontare delle storie d'amore nel mainstream ed esserne noi stessi i protagonisti. Partire dalla nostra storia è fondamentale per entrare a far parte della narrativa cinematografica. Il sogno è quello di arrivare ad una nostra prospettiva futurista, magari fino ad un Black Star Wars.
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La discriminazione di genere
Anche il suo film precedente Belle aveva molto a che vedere con le sue origini. Quanto questi due lavori sono lo specchio delle sue esperienze?
Non mi sento rappresentate di due razze quanto di due culture. Non condivido totalmente la mentalità di mia madre né quella dei miei amici di origine inglese. Mentre mi sento più vicina ai figli degli immigrati di prima generazione. Mi sono sentita a lungo disorientata e non sapevo come denominare questa mia diversità, questo mio essere multi culturale. Per fortuna oggi viviamo in un mondo dove alle persone non è richiesta una sola caratteristica per esprimersi. A trent'anni ero stanca di scegliere da che parte stare, chi essere, cosa rappresentare. Ho imparato ad accettare chi sono e a sentirmi libera: parlo perfettamente ghanese ma voglio tifare Inghilterra ai mondiali.
Data la sua esperienza direbbe che è più difficile essere semplicemente una regista di sesso femminile oppure di essere una regista di colore?
I dati ci dicono che le donne di colore hanno maggiore difficoltà a lavorare nel mondo del cinema. Fino a qualche anno fa non costituivamo neanche l'1%. Quando ho intrapreso questo percorso artistico non avevo esempi da seguire, specie in Gran Bretagna. Negli USA c'era Julie Dash che è stata fonte di grande ispirazione. Ad oggi la situazione è migliore ma il cambiamento non è sostanziale. Posso dire di ricevere molta solidarietà da parte delle mie colleghe ma vorrei che la nostra voce si levasse forte contro qualsiasi discriminazione di genere e di razza.