Una delle forze del cinema è quella di suscitare emozioni, la sua capacità di immergerci in una storia facendoci provare le sensazioni dei suoi protagonisti. Una caratteristica che subisce una maggiore enfasi quando quella che ci viene raccontata è una vicenda accaduta sul serio, quel classico "tratto da una storia vera" che precede tanti film e diventa un riferimento reale e concreto, creando un legame tra le immagini che prendono vita sul grande schermo e il mondo che ci circonda e siamo abituati a conoscere.
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Tutto ciò è ancora più evidente quando la storia che ci viene raccontata, oltre che vera è anche cruda e sofferta, di quelle che colpiscono nel profondo, assestando diversi colpi duri e ben calibrati alla bocca dello stomaco. E non è un caso se usiamo questo tipo di metafora, perché A Prayer Before Dawn, presentato al Festival di Cannes 2017 come proiezione di mezzanotte, è la storia vera di Billy Moore, tratta dal suo stesso libro di memorie adattato per il grande schermo da Jean-Stéphane Sauvaire.
La strada verso la redenzione
Il regista ci immerge sin dalle prime sequenze nel cuore della storia, nell'ambiente della boxe thailandese che Moore bazzica per racimolare i soldi per una nuova dose. Dipendente dall'eroina, il ragazzo inglese è allo sbando in quel paese lontano e finisce per essere incarcerato per motivi legati proprio alla droga, iniziando un drammatico percorso di tre anni nel difficile e sporco sistema carcerario thailandese, fatto di ulteriori dipendenze, ma soprattutto di una logica di gang e violenze continue, di lotte per imporsi da bilanciare saggiamente con la capacità di essere invisibile agli occhi sbagliati. Un cammino che Billy riesce a riportare sulla strada giusta solo quando si riavvicina al mondo della lotta, avvicinandosi alla disciplina del Muay Thai e, tramite essa, conquistando quei pochi privilegi che ai lottatori spettavano.
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Prigioni da incubo
Sauvaire lavora bene sull'ambientazione che fa da sfondo al dramma personale di Billy Moore, mettendo lo spettatore faccia a faccia con una prigione intollerabile, sporca e fatiscente, spoglia quanto affollata, abitata da commilitoni ipertatuati, minacciosi e pericolosi, guardie ostili e corrotte. Un ambiente che si fa teatro di soprusi e violenze continuee, che Billy è costretto a subire mentre cerca di trovare la propria via d'uscita, che è, e deve essere, soprattutto interiore. Per questo è importante il supporto dell'attore britannico Joe Cole, che gli spettatori di Peaky Blinders ricorderanno, nel ruolo del protagonista, per il modo in cui riesce a mettere in scena non solo la lotta fisica nei combattimenti, ma quella interna al giovane, le esplosioni di rabbia, i tremori e la solitudine.
Un racconto crudo e spietato
Il regista costruisce tutto Prayer Before Dawn dal suo punto di vista, lavorando sul sonoro per enfatizzare le sue sensazioni, mettendolo sempre, costantemente, al centro di un racconto crudo e spietato. Un racconto che va dritto per la sua strada, che ci immerge nel presente di Billy senza divagare tra flashback e altri spunti narrativi per raccontarci il passato e la sofferenza del ragazzo, che brucia sotto la cenere nelle sequenze di quotidiani soprusi e divampa, trovando la sua massima espressione, nelle sequenze di lotta, che sono il vero compimento dell'esperienza di Moore nel carcere thailandese, oltre che la sua via di fuga da esso. Prayer before Dawn non è di certo un film per tutti, per temi e modo con cui questi sono raccontati, ma è un'opera che come proiezione di mezzanotte di Cannes si ritrova perfettamente a suo agio.
Movieplayer.it
3.5/5