Si suol dire, secondo la locuzione latina, che errare humanum est ma quando lo sbaglio viene commesso in determinati contesti od occasioni è più difficile da metabolizzare rispetto ad altri. Come scopre sulla propria pelle la protagonista di A Mistake, un'affermata chirurga che si trova ad intervenire in un'operazione sulla carta di routine, che si trasforma in una tragedia e rischia di rovinarle la vita.

Elizabeth Taylor - sì, omonima della leggendaria attrice - si ritrova alle prese con una ragazza affetta da sepsi e in sala operatoria un errore del giovane medico Richard, su sua direttiva, rischia di complicare le cose; tocca proprio a Beth intervenire prima che sia troppo tardi. Ma la mattina successiva la paziente muore per via delle complicazioni, trascinando la dottoressa in un vortice di incertezze e sensi di colpa. Quando anche i vertici ospedalieri e i genitori della vittima intendono vederci chiaro, Beth scoprirà di essere rimasta da sola nella battaglia più difficile da affrontare.
A Mistake: nel cuore del dramma

Può una carriera fino ad allora considerata impeccabile andare in pezzi in seguito a un evento drammatico? Lo scoprirà sulla propria pelle la protagonista, con il vuoto che si crea attorno a lei anche quando deve pagare per colpe propriamente non sue o almeno condivise, con il caso e il destino che mai come nell'ambiente medico ci mette lo zampino.
A Mistake è tratto dall'omonimo romanzo di Carl Shuker e nei suoi novanta minuti di visione non fa certo sconti, a cominciare da quel quarto d'ora iniziale che potrebbe parzialmente disturbare il pubblico più impressionabile o chi ha subito in passato operazioni di qualche tipo, con le varie fasi che vengono mostrate senza troppi filtri.
Se prima il bisturi scava nella carne, poi lo fa nell'anima e nella mente di Beth, che si ritrova sì a lottare contro il proprio senso di colpa ma anche contro colleghi e superiori che le hanno improvvisamente voltato le spalle. Ippocrate: l'avventura quotidiana della medicina
Lacrime e sangue

L'anima melodrammatica è raccontata con sensibilità e incisività, grazie anche alla riuscita interpretazione di Elizabeth Banks, attrice ormai sempre più completa dopo gli inizi carriera all'insegna della leggerezza. A tratti si ha però l'impressione che la sceneggiatura - e quindi il libro alla base - calchi troppo la mano sull'alone tragico. Come scoprirà lo spettatore col proseguire della visione infatti la dottoressa si ritroverà a dover fare i conti con altre, collaterali, situazioni difficili, rischiando di essere sempre più trascinata nell'abisso.
Un approccio sicuramente voluto per aumentare la retorica e spingere chi guarda ad identificarsi nel personaggio, ma che risulta parzialmente forzato e inverosimile, che rischia di guastare almeno parzialmente quel quadro narrativo che ritrova slancio e personalità nel catartico epilogo.
Camici bianchi e cuori neri

Una delle trame parallele introduce agli spettatori uno studio reale che evidenzia il numero impressionante di pazienti "persi" senza alcuna considerazione per i dettagli della loro storia clinica o per i medici coinvolti. Un aspetto che ad un certo punto diventa fondamentale per il caso di Taylor, mentre l'attenzione dei media - la cosiddetta macchina del fango - si concentra su di lei come la colpevole da punire ad ogni costo.
Il progressivo sgretolarsi della vita personale della donna va di pari passo con un sistema dei poteri forti che fa di tutto per proteggere i propri interessi, anche a discapito di quanto realmente accaduto: d'altronde spesso la verità di comodo è quella che conviene a chi sta più in alto.
La regista e sceneggiatrice neozelandese Christine Jeffs - che ricordiamo per il gradevole Sunshine Cleaning (2008) - ambienta in patria una storia dal carattere universale, sì di finzione ma con spunti solidi in eventi e situazioni reali, qua e là eccessiva ma a suo modo illuminante su certe dinamiche esistenti e su come il giuramento di Ippocrate venga interpretato in modi potenzialmente divisivi.
Conclusioni
Il film offre uno spaccato a tratti traumatico di quanto sia sottile il confine tra errore umano e senso di colpa, tra responsabilità individuale e falle del sistema. Nell'adattare dell'omonimo romanzo, la regista si affida all'intensa performance di un'intensa Elizabeth Banks, abile nello sfumare una figura finita nel tritacarne mediatico dopo una tragedia che l'ha vista direttamente coinvolta. A Mistake pur con qualche eccesso melodrammatico in alcune sottotrame, riesce a scavare con la giusta profondità nell’anima della protagonista e a sollevare interrogativi etici non banali sul mondo della medicina e sull'impegno profuso da chi ogni giorno cerca di salvare vite.
Perché ci piace
- Un'ottima Elizabeth Banks.
- Una storia che colpisce nel suo dramma tristemente verosimile...
Cosa non va
- ...ma che forza qua e là la mano in alcune sottotrame eccessivamente tragiche.