Certo, fin dal titolo è un omaggio a Marcel Proust, ed è anche un forte omaggio a Luchino Visconti, nella sua sceneggiatura verbosa e sorprendente, tuttavia pop nella struttura e nel linguaggio. Ma, più in generale, À la recherche, diretto e interpretato (in un ottimo francese) da Giulio Base è, piuttosto, uno scapigliato divertissement sul cinema, tanto da sembrare una sorta di lettera d'amore che si lega all'ideale di una poetica intellettuale (s)tra-passata, e in qualche modo profetica nella suo essere eclettica e nostalgica. Utilizzando un termine che detestiamo, À la recherche, presentato alla Festa del Cinema di Roma, è un film 'sfidante' (perdonateci, se potete...), e sicuramente riuscito nella sua costruzione narrativa e visiva.
Sorprende per tecnica, per colori (caldi, cozy, autunnali), per linguaggio (studiato ma mai saccente): come se fosse un palcoscenico, il cinema di Giulio Base mette in contrapposizione ideali passati (e oggi fin troppo abusati) per circoscrivere - letteralmente - una sorta di duello in cui due sfere narrative devono giungere a patti, sfruttando tutta la potenza della parole. Delle parole, e del tempo. Del resto, la ricerca del tempo, nel film scritto da Base insieme a Paolo Fosso, diventa il pretesto per immortalare l'utopia contemporanea, strizzata da un'epoca oscura: fermare il tempo, parlarci, ragionando con lui. Per questo, dietro la mole di parole - che schizzano via nel mezzo di un disordine solo apparente - A la recherche è un ottimo film politico, sociale e culturale, nonché la prova di un talento registico tanto raffinato quanto popolare.
À la recherche, la trama: duello di classe in un interno
À la recherche, infatti, inizia quasi in medias res, con la camera semi-fissa, che racchiude uno spazio simile a quello di un palcoscenico. Al centro gli unici due protagonisti, Ariane (Anne Parillaud), nobildonna e attrice francese, insieme a Pietro (Giulio Base, appunto), sceneggiatore italiano "ridotto" a firmare i copioni dei poliziotteschi o delle commedie erotiche, o per meglio dire di quei film "che hanno salvato il botteghino italiano". Del resto, è il 1974, anno di cambiamenti culturale e politici. Giulio Base, conscio di questo accavallamento temporale, sceglie allora una bellissima villa che affaccia sui Castelli Romani come location unica per il confronto tra Ariane e Pietro. La sfida, tutt'altro che semplice: Ariane ha contattato Pietro perché scrivesse l'adattamento di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, da sottoporre all'attenzione di Luchino Visconti, intanto sul set di Gruppo di famiglia in un interno. Occasione unica per lo sceneggiatore, ma il confronto con Ariane diventa - in un crescendo - sempre più complesso e tortuoso.
Tempo, spazio e parole: un film notevole
Su e giù dal palco in questione, la tecnica e l'occhio di Giulio Base alternano una luce notevole (alla fotografia Giuseppe Riccobene) ad un tratto, sommessamente, più nero. Gioca di sensazione e di suggestioni, ammicca citando il grandissimo cinema - Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Suso Cecchi D'Amico, Sergio Leone - come se fosse una sorta di bignami artistico che, con fare spettinato, si allunga verso un generale equilibrio tenuto in piedi tanto dalla scenografia quanto dagli interpreti. Del resto, come il personaggio di Pietro, Giulio Base non ha lo snobbismo di celare il suo amore smodato verso il cinema, essendo prima di tutto spettatore e poi autore. E lo dimostra l'attenzione verso ogni dettaglio scenico (come i dipinti sugli sfondi), e nell'appassionato (e accorato) discorso legato alla libertà artistica.
Il focus de À la recherche, infatti, è tenuto in primi piano dallo scambio costante (nonché teso, dolce, sensuale, svagato) tra Ariane e Pietro: come se fosse una partita di tennis, disputata sul sofà e sui tavoli in mogano, c'è un'alternanza che rimpalla ogni dialogo, ramificandosi sulle note tanto dolci quanto amare di un periodo in cui gli ideali erano materia viva e pulsante, capaci di offrire alla società e all'arte quello spunto e quel dibattito che oggi si è ormai frantumato. Per questo motivo, narrativo, letterario, interpretativo e naturalmente cinematografico, Giulio Base sembra onestamente (s)mosso dal bisogno di ritornare alla purezza e al diametro delle parole (e del cinema stesso), nel contesto di un tempo (da ricercare, ancora e ancora) che diventa sia nemico sia alleato. Notevole.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di À la recherche, il film di Giulio Base dimostra una certa (e interessante) idea cinematografica, ben scritta e ben strutturata. Verboso eppure mai pensante, dolce e nero allo stesso tempo, l'opera fotografa un immediato momento storico e culturale, sottolineando i riverberi attuali. Funziona.
Perché ci piace
- Lo spunto.
- I colori.
- Gli spazi utilizzati.
- Le citazioni.
Cosa non va
- Alcuni passaggi si perdono nella mole di digressioni.