Il nostro affetto per Zach Braff è direttamente proporzionale alla sua ondivaga carriera. Se Scrubs merita tutt'ora un posto riservato per aver riscritto e anticipato le regole del dramedy (non solo seriale), il suo percorso da regista è altresì inusuale, strano, svagato. Abbiamo voluto (molto) bene al suo esordio, La mia vita a Garden State (sono già passati vent'anni...), e ci siamo sforzati di apprezzare Wish I Was Here. Del resto, le opere seconde sono le più complicate. Poi eccoci nel 2017: dopo due opere sentite, e legate alle sue corde emotive, sforna un remake d'ufficio, ossia Insospettabili Sospetti, che si rifà a Vivere alla grande del 1979. Tre film diversi e incongruenti tra loro, considerando siano stati diretti dallo stesso autore. Ma se l'emotività è il tratto più coerente nel cinema di Braff, allora il suo quarto film, A Good Person, pare riassumere i suoi primi due film.
Una somma imperfetta, bisogna dirlo, ma comunque efficace nelle sue digressioni tematiche: la depressione, l'elaborazione del lutto, la realtà provinciale (siamo nel New Jersey, lo stato natale di Braff). In mezzo, uno sguardo sincero e un ottimo polso registico nei confronti dei suoi attori, costantemente supportati e anzi elevati al livello della sceneggiatura firmata dallo stesso regista. Anche per questo, A Good Person - in Italia su Sky Cinema Uno, in streaming solo su NOW e disponibile on demand -, al pari di La mia vita a Garden State, può essere considerato come il film più personale di Zach Braff. Talmente personale che, come accade in questi casi, straborda nell'umore e nei toni, mettendo in scena l'evoluzione di una storia a tratti irrisolta nella sua struttura, ma incrociata dai sentimenti dettati dal (suo) cuore.
A Good Person, una persona migliore
Sì, il cuore. È il cuore che muove Zach Braff, ed è il cuore che muove (e smuove) i protagonisti di A Good Person. Il più classico film sull'accettazione luttuosa, sulle seconde possibilità, sulle consapevolezze scaturite dal dolore. Un dolore sordo e dirompente, che Braff non evita di sottrarre dalla scena. Il dolore è lì, presente. Smussato dall'umorismo, ma costante nelle giornate livide di Allison, interpretata da Florence Pugh. Dopo essere rimasta coinvolta in un terribile incidente automobilistico, Allison si ritrova bloccata in un limbo fisico e psicologico, tra antidepressivi e oppiacei. È tornata a vivere con sua madre, sferzata dai sensi di colpa e dal dolore.
Lo abbiamo detto, il dramma c'è, e anzi detta il tempo stesso del film, indirizzando le scelte (e l'evoluzione) di Allison. Florence Pugh è brava, tuttavia diventa ancora più brava quando viene affiancata da Daniel, interpretato da Morgan Freeman. Daniel è il papà dell'ex fidanzato e dell'aspirante cognata, morta proprio nell'incidente che ha coinvolto Allison. Sta crescendo da solo sua nipote, e trova conforto in un gruppo di sostegno che aiuta le persone con dipendenze alcoliche. Con difficoltà, Daniel coinvolgerà anche Allison. I due incroceranno il dolore lancinante, trovando una nuova dimensione di vita.
"Ricominciare da capo, come funziona?"
Del resto, A Good Person, è il più classico film sulle seconde possibilità. Un film sui dubbi, sulle persone che siamo, e sulle (brave) persone che vorremmo essere. A Good Person è un film sulla vita che cambia in un attimo. La stessa vita che ci mette davanti ad un muro bianco, impossibile da scalare. Restiamo fermi a guardarlo, senza accorgerci che poco più avanti c'è una porta aperta, che attende solo di essere varcata. Come dimostra lo scambio di emozioni messo in piedi tra Allison e Daniel, in uno dei momenti più belli del film: "Ricominciare da capo, come funziona?", dice lei. "Ci vuole impegno", risponde lui. Ma l'impegno prevede, appunto, applicazione, e dunque "Posso dirti un segreto, non sono sicura di volerlo fare".
Perché uscire dalla rabbia e dalla depressione non è un gioco. Non si può guarire, il dolore resta lì. Quasi a confortarci, perché tanto la vita fa schifo. L'abisso è senza fondo, e la luce in superficie non è altro che un barlume sfocato. Quel dolore affogato in un mare di pasticche, veleno legale che sfuma percezione e sentimenti. Un conflitto confinato da Zach Braff in un film che poggia tutte le sue basi sulla sceneggiatura e sulle interpretazioni, sulla delicatezza, sulla fragilità e sull'empatia. Pur restando incastrato in una declinazione forse poco equilibrata, raffreddata da una durata davvero eccessiva (oltre due ore sono troppe per un film così) che si blocca in più parti, l'incostante Braff ci mette tutto sé stesso: l'anima e la testa, la ragione e il sentimento. Dimostrando, come già fatto ne La mia vita a Garden State, che il nostro destino può essere diverso da ciò che all'apparenza vediamo. In fondo, "i treni in poco tempo ti portano sempre in quei luoghi lontani che ti eri ripromessa di visitare". Guarda caso, questione di destino, questione di sguardi.
Conclusioni
Cuore, sentimenti, dolcezza. E il dramma, costante nel dettare l'umore e il tono. Come scritto nella recensione di A Good Person, Zach Braff è un regista altamente emotivo, talmente emotivo che il tono generale è spesso sovraccaricato, e appesantito da una durata eccessiva. Al netto di questo, la sceneggiatura è ben supportata dai due splendidi protagonisti, Florence Pugh e Morgan Freeman.
Perché ci piace
- Florence Pugh e Morgan Freeman.
- La dolcezza, unita al dramma.
- Una buona sceneggiatura...
Cosa non va
- ... appesantita da una struttura rigirata su se stessa e da una durata eccessiva.