A Complete Unknown, recensione: l'enigma di Bob Dylan e un biopic dalle illusorie (e meravigliose) risposte

La lotta contro i poteri forti (oggi ancor più necessaria), la chitarra di Woody Guthrie, l'inafferrabilità e la musica: James Mangold dirige Timothée Chalamet in un film dai forti riverberi politici e artistici. In sala dal 23 gennaio.

Timothée Chalamet è Bob Dylan in A Complete Unknown

Il Greenwich Village di New York City dei liberi pensatori, e poi le chitarre, i viaggi e i fuorilegge. Dalle menzogne ai fatti, tra la poesia e la musica strimpellata, cantando storie come fosse Omero o Shakespeare. C'è una frase di George Bernard Shaw, morto tredici anni prima dell'album capolavoro The Freewheelin', che sembra cucita addosso a Robert Allen Zimmerman: "Non cercare te stesso, ma crea te stesso". Una frase ripresa anche nello splendido Rolling Thunder Revue di Martin Scorsese, e concettualmente rivista da James Mangold in A Complete Unknown, biopic che definiremmo classico nella struttura, eppure capace di immortale l'illusione anticonformista di Bob Dylan.

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Timothée Chalamet è Bob Dylan

Un'attinenza alla verità, in questo caso, solo relativa: piuttosto, una elaborazione che potesse cogliere lo spirito di uno dei più grandi autori della storia. Nel farlo, Mangold, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Jay Cocks, è partito dalla libro Dylan Goes Electric! di Elijah Wald, nel quale si racconta la controversa svolta elettrica (e più rock) di Dylan dopo essere stato "portavoce di una generazione" con sonorità folk e testi marcatamente politici.

A Complete Unknown: se Timothée Chalamet canta Bob Dylan

E, se pensiamo a Dylan, non possiamo non tenere in considerazione il suo spirito riottoso, sociale e, ancora, politicizzato e agguerrito nei confronti dello sguardo capitalista, borghese e guerrafondaio degli Stati Uniti d'America (i suoi testi riecheggiano tutt'ora, diventano profetici e, per questo, senza tempo). Con ciò, partendo dal 1961 e arrivando fino al 1965 (il concerto al Newport Folk Festival, una sorta di spartiacque nella carriera del poeta), A Complete Unknown diventa l'incipit umano e cinematografico del Bob Dylan interpretato con intelligenza e adiacenza da Timothée Chalamet.

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Timothée Chalamet ed Elle Fanning

Il phisique du role aiuta l'attore, e lo aiuta poi lo sguardo, conciso e tagliente, andando poi a giocare sulla voce che sì, "non può essere replicata" - come qualcuno ha scritto in modo fin troppo superficiale e facilone -, ma risulta comunque sorprendente in una conformità che non imita ma interpreta. Nel film, tra l'altro, c'è un po' tutto di quegli anni lì: da Malcolm X alla Crisi di Cuba, il Vietnam e JFK, fino al rapporto di Bob Dylan con Pete Seeger (Edward Norton), la sua profonda riconoscenza verso Woody Guthrie (Scoot McNairy, come sempre meraviglioso) e, ancora, il suo legame a Joan Baez (Monica Barbaro) e l'amore complesso con Suze Rotolo che, però, nel film diventa il personaggio immaginario di Sylvie Russo (interpretata da Elle Fanning).

A Complete Unknown, Timothée Chalamet: "Abbiamo colto lo spirito creativo di Bob Dylan"

Da Mr. Tambourine Man a Like a Rolling Stone

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Monica Barbaro è Joan Baez

Come in ogni biopic che si rispetti c'è la musica. E A Complete Unknown, che si apre con la voce inconfondibile di Pete Seeger (messo alla sbarra per le sue idee politiche), trasuda musica in ogni scena. Il piglio di James Mangold è chiaro: evitare la verità assoluta (sarebbe impossibile, visto il personaggio) per affidarsi alla fotografia di un pensiero artistico capace di andare oltre, innovandosi costantemente per evitare la fama fine a se stessa, senza restare vittima di sé o del suo personaggio. Bob Dylan, avanguardia letteraria di un Paese controverso eppure colmo di bellezza e di talento, applicato quindi a un cinema che punta al racconto dell'uomo, dell'autore e dell'innovatore.

Un uomo contrario, e quindi rilevante dal punto di vista narrativo: ciò che più colpisce, e ciò che poi resta di A Complete Unknown, è infatti l'indole unica di Zimmerman alias Dylan: la scelta cinematografica di affrontare un periodo ben preciso della sua carriera (solo nell'ultima parte del film, però, perdendosi in un incipit a volte ripetitivo) coincide con la potente figurazione dell'artista come elemento soggettivo e autonomo, libero da ogni obbligo o dogma. L'idea di accantonare The Times They Are a-Changin' e Mr. Tambourine Man in funzione di Like a Rolling Stone o di Ballad of a Thin Man è quindi la presa di posizione sociale e politica che, in A Complete Unknown, prende anche la sfumatura generazionale: l'innovazione (l'elettrica) che sfida la tradizione (il folk), in un assunto che, necessariamente, dialoga con il presente.

Lottiamo contro i poteri forti

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James Mangold e Timothée Chalamet sul set

Ed curioso quanto Hollywood, oggi, si smarchi dalle dichiarazioni politiche (è sempre più raro in sede di promozione che un interprete si lasci andare), affidando invece i propri punti di vista direttamente al mezzo artistico. La differenza, vedendo A Complete Unknown, risulta più nevralgica e, se vogliamo, conflittuale: Bob Dylan riesce a essere contemporaneamente sia l'uomo che l'artista, mentre adesso si è persa quella profondità intellettuale, capace di essere davvero critica nei confronti di quei "poteri forti" - come li chiama Johnny Cash, nel film interpretato da un troppo macchiettistico Boyd Holbrook - che stanno omologando il pensiero della società civile.

Allora, se per raccontare Dylan servono più di due ore e venti (pensiamo al suo tenero e sincero rapporto con Woody Guthrie, ormai malato, che meriterebbe un film a parte), A Complete Unknown diventa un biopic propedeutico nella lettura sbilenca del nostro mondo - non solo culturale - ben distante da quello rielaborato da Mangold. Perché, se non bisogna mai smettere di lottare contro le ingiustizie e contro gli abusi, la commedia dell'arte di Bob Dyaln, tra un circo dimenticato e l'identità dell'America, si riassume in una frase che riempie la scena: "trovatevi qualcuno d'amare". Basta questo per rendere A Complete Unknown un film carico di illusorie e meravigliose risposte.

Conclusioni

L'enigma di Bob Dylan in un biopic che si divincola dalla verità assoluta per avvicinarsi, invece, al documento artistico, politico e spirituale dell'artista. Se la personalità di Dylan, cinematograficamente parlando, è ovviamente stimolante, dall'altra appare - a tratti - come un limite. Certo è, James Mangold tiene con sicurezza i principi del film musicale-biografico (anche grazie al cast), addentrandosi nei sottotesti sociali e politici, nonché generazionali, legati al profilo - sfuggente - di un autore straordinario.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • La musica di Dylan, ovviamente.
  • La buona prova degli attori.
  • La disamina generazionale, e quanto sia importante rompere gli schemi.
  • Alcune scelte visive.

Cosa non va

  • Complesso riassumere una personalità tanto gigantesca, tanto che sembra quasi un limite piuttosto che uno stimolo.