40 Secondi: Willy, la qualità e una società che ha rinunciato ad essere intelligente

La provincia meccanica, l'innocenza degli animali, i sogni che fanno paura. Vincenzo Alfieri esclude la violenza dalla logica della narrazione, trasformando un terribile fatto cronaca in un film dell'orrore. Da vedere (e capire).

Una scena di 40 Secondi

Oltre la brutalità ottusa, quello che è accaduto a Willy Monteiro Duarte altro non è che il fallimento della società. Non c'è misericordia, non c'è comprensione. La glaciale verità dei fatti, vista e riletta in un film ossuto, teso, mai compiacente. Non era facile, non poteva esserlo. Vista la cronaca, visto il peso specifico di una tragedia comunitaria oltre che personale. Seguendo il soggetto di Federica Angeli, autrice dell'omonimo libro, Vincenzo Alfieri dirige e scrive (insieme a Giuseppe G. Stasi) 40 Secondi.

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Justin De Vivo è Willy

Un'indagine sul male, quella di Alfieri, costretta e allungata in una manciata di attimi poi confluiti alle 3:15 del 6 settembre 2020. Più punti di vista e un montaggio alternao - firmato dallo stesso Alfieri - che corre avanti e indietro nel tempo. Non c'è che dire, grande cinema. Tuttavia, 40 Secondi, dato il tono e data la temperatura, va oltre il senso stesso della narrativa, escludendo dalla scena la violenza, suggerendo l'orrore attraverso gli occhi, i nervi, i denti serrati. Come nei migliori film horror, dove la paura si lega alla tensione, scuotendo senza mai esplodere davvero.

40 Secondi: Willy, i sogni e una provincia meccanica

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Alfieri e Gheghi sul set

L'immagine si restringe, l'aria manca, il cinema diventa sentimento. In mezzo, quella scintilla banale che infuoca l'ennesima notte uguale di una provincia in fotocopia. I motorini, il bar, l'omologazione come rifugio. Niente sogni, perché i sogni fanno paura. E se hai una personalità - come l'aveva Willy Monteiro - allora quella provincia diventa terreno di caccia; una provincia "meccanica" che non prevede bellezza né aspirazione. Lì, tra l'asfalto scheggiato e una pizza al taglio, risuona l'assenza della società e della cultura.

Al loro posto, il culto del corpo e l'ossessione malata per il potere, da perpetrare attraverso l'immagine, tossica e apocalittica. Allora, in un fluido andirivieni che ammicca al thriller, 40 Secondi riassume ventiquattro ore divise in quattro punti di vista - tra cui quello di Willy, interpretato da Justin De Vivo, e quello di Michelle, con il volto di Beatrice Puccilli - per un abominevole romanzo di formazione.

La metafora (tragica) degli animali

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Francesco Di Leva e Luca Petrini

Nascondere e mai mostrare, sussurrare e mai gridare, evitando il consumo e l'abuso di "una violenza pornografica", dice Alfieri. "Social, televisione, film. La violenza è sovraesposta. Nel film la violenza doveva solo essere percepita", prosegue il regista, raccontando 40 Secondi. "Abbiamo optato per un taglio quasi documentaristico, senza musica e senza movimenti particolari". Innegabilmente, funziona. Funziona il cast - splendidi e miserabili Francesco Gheghi ed Enrico Borrello, così come sono inquietanti e marmorei Giordano Giansanti e Luca Petrini nel ruolo dei "Gemelli" - funziona il clima, funziona il colore. Funziona l'alternanza diretta tra bene e male, anche grazie all'utilizzo allegorico - e purtroppo reale, visti gli atti d'accusa nei confronti dei fratelli Bianchi - degli animali.

"Il parallelismo con gli animali è stato importante", prosegue Vincenzo Alfieri. "Willy, come l'agnello, è un qualcosa di puro, un essere umano straordinario che ha fatto un gesto molto umano: non restare indifferente. Viene sacrificato, come l'animale nel film", e ancora, "C'è un rapporto con i cani, con i pappagalli, con un il ronzio di una mosca. Perché questo posto, dove è ambientato il film, è sia rurale che meccanico. È una provincia meccanica, ma vive all'interno di una pianura dove ci sono più identità".

Il lato migliore e il lato peggiore della nostra società

40 Secondi Sequenza
40 Secondi: una sequenza del film

Perché, dietro l'ombra di un omicidio, 40 Secondi - con intelligenza - mostra sia il lato peggiore che il lato migliore della società, evitando l'etichetta e mostrando relazioni, testo e contesto di una responsabilità individuale e collettiva parlando soprattutto ai più giovani - come dovrebbe fare un certo cinema. Soprattutto, senza strappi, e mantenendo saldo l'equilibrio, Vincenzo Alfieri pone l'attenzione sul rifiuto dell'intelligenza, e quindi sull'assenza di qualità.

40 Secondi Set Sergio Rubini Vincenzo Alfieri
40 Secondi: Sergio Rubini e Vincenzo Alfieri sul set

E in 40 Secondi c'è una frase potente, quasi sussurrata da Sergio Rubini, che cita John Ruskin: "La qualità non è casuale, ma lo sforzo che deriva dall'intelligenza". 40 Secondi è tutto qui, in questa citazione: l'attenzione si sposa e l'intelligenza viene soppiantata. Il risultato? L'azzeramento dell'evoluzione e del progresso. E se manca il progresso, manca la civiltà. Niente di più distopico.