Dal 31 ottobre arriva sulla piattaforma di streaming Serially, in prima visione assoluta, la nuova serie 3.33. Il progetto, in sei episodi, è stato ideato da Namas Acerboni in collaborazione con Matteo Fontana, ed è stata prodotta dal regista in collaborazione con Roberto Chierici, impegnato inoltre come direttore della fotografia.
Al centro della trama, ambientata in un paesino del Nord Italia che nasconde un mistero antico e oscuro, c'è Alex, interpretato da Alessandro Scirea, che viene tormentato da incubi e situazioni da brivido dopo aver ritrovato un oggetto misterioso. La sua storia si intreccia con quella del Dottor Petrov, ruolo affidato a Claudio Savina, un anziano psicoterapeuta con un interesse per una serie di crimini ed esperto in ipnosi.
Letizia Liccati ha invece il ruolo di Brianna, fedele amica del giovane protagonista, Marta Rizzioli quello della madre di Alex, e il cast viene poi completato da Loris Iannotti nella parte di Leo e da Toni Pandolfo in quella di Ermanno.
I quattro protagonisti ci hanno raccontato qualche dettaglio e curiosità sul progetto indipendente, realizzato nel 2020 mentre il mondo intero era alle prese con la pandemia.
Un'esperienza che ha unito il cast
La serie propone un insieme di suggestioni e intrecci molto particolari, cosa vi ha attirato del progetto?
Alessandro Scirea: Assolutamente tutto perché nel momento in cui ho letto il soggetto, in realtà, ho visto un mondo. Un mondo che era molto familiare a tutti quei mondi cinematografici che piacciono a me, che ho sempre sognato da quando ero bambino. Tutti quei mondi creativi di foreste blu con le luci che tagliano in mezzo... quindi mi sono innamorato da subito. E sono sempre rimasto legato a tutto quello che c'era scritto perché mi piaceva tantissimo.
Claudio Savina: Quello che mi ha attirato... niente. Il personaggio di Petrov in realtà nasce prima ancora della serie perché io e il regista, che poi ha scritto il soggetto insieme a Fontana, mi conosceva e conosceva tante sfaccettature di me, per cui in quelle sfaccettature ha incontrato lo psichiatra russo che fa l'ipnosi. Io mi sono adattato al lavoro dello psichiatra russo, però il personaggio c'era già perché Namas non l'avrebbe potuto vedere, per cui mi sono trovato bene. E poi fa parte di un genere, bello da fare, anche divertente in sé, mentre gli altri si spaventano, noi ci divertiamo.
La serie è stata realizzata durante la pandemia e ha affrontato numerosi ostacoli, anche per quanto riguarda l'uso degli spazi e il tempo a disposizione. Con una storia in cui non manca la tensione e di angoscia, la situazione intorno a voi nella vita reale vi ha in qualche modo aiutati a entrare nei personaggi?
Alessandro Scirea: Allora sicuramente quello che è capitato ha creato un disagio generazionale, generale e culturale, soprattutto penso anche in ambito artistico. Perché comunque sono così tanti artisti che sono rimasti, anche se è brutto da dire, con le mani in mano durante quell'evento storico. Quel fenomeno, secondo me, ha dato proprio la forza a noi come gruppo, come famiglia, di creare questa cosa, ma soprattutto anche a livello produttivo e in questo caso recitativo comunque quel disagio ha portato fuori un gran valore delle cose che poi si andavano a fare.
Claudio Savina: Sì, soprattutto, diciamo detta banalmente in quel momento in cui tu non potevi fare niente, noi stavamo facendo tutto. Questo era meraviglioso. Il tutto è chiaro che per me di una certa età poi voleva dire comprendere molte cose con un po' di consapevolezza, cioè per i giovani, magari era un po' diverso perché abitualmente fanno tante cose, e in quel momento gli è stato tolto tutto. Eppure facevano tutto. E questo è meraviglioso. E infatti si è creato una sinergia che ha dato luogo a tante scene bellissime che si vedranno nella serie.
Alessandro Scirea: Generazionalmente proprio, anche proprio per quelli della mia età, in quel momento ci siamo ritrovati con niente e appunto, io ho avuto la possibilità di riprendermi tutto in mano in quel momento. Quindi penso che sia stato proprio fantastico.
Come avete creato i legami tra i vostri personaggi, avete comunque avuto modo di provare e interagire prima di arrivare sul set?
Alessandro Scirea: Ci definirei "amici del web" perché il tutto è iniziato appunto in lockdown e quindi le prime prove, la produzione anche poi per la troupe tutto sono state fatte online tramite Zoom. E quindi, in realtà, i legami si sono creati perché in un momento storico dove i legami erano stati praticamente quasi banditi per problematiche del momento, noi siamo riusciti a costruirci una vita parallela dove i legami diventavano reali. Erano gli unici legami che potevamo avere in quei momenti, di conseguenza, con tutta quella tutta quella energia negativa e il resto, si sono trasformati in legami reali che sono poi andati a costruire i legami all'interno della storia.
Claudio Savina: Si è creata una famiglia che è un po' quello che accade agli attori quando fanno per tanti anni questo mestiere. Sostanzialmente quel mondo lì è bellissimo. E chi fa l'attore vuole viverlo sempre, poi purtroppo non si può fare perchè un mondo reale non è un mondo finto, però tu praticamente sei al di là della realtà. E vivi le gioie e i tormenti in una condizione totale perché non puoi far finta dopo sette ore di set. Sei tu e puoi esprimerti per quello che sei, soprattutto quando sei coi tuoi colleghi. Questo crea dei rapporti che poi diventano eterni, sostanzialmente.
Le differenze generazionali hanno portato anche a momenti di confronto?
Alessandro Scirea: Io sto ancora spiegando a Claudio cos'è lo streaming. Però, piano piano, ci arriviamo. In realtà, per quanto riguarda il mio rapporto con lui, ci siamo ritrovati a disquisire su tematiche del mondo in quel momento. Era piu' un nonno, una figura "nonnesca", si può definire così, che mi iniziava un po' al mondo, alla vita. E questa cosa è servita, penso molto anche a livello dell'umanità che poi si va mettere all'interno della recitazione.
Claudio Savina: E qui torniamo al discorso che stavo facendo sulla bellezza della vita dell'attore che sta nel fatto che io, per esempio, che non sono nonno, probabilmente purtroppo non avrò questa fortuna, ma avevo un nipote per un po'. Me lo sono goduto sostanzialmente, l'ho vissuto veramente, ma l'ho vissuto come personaggio, per cui ci sono dei momenti in cui chi guarda vede che esiste questo rapporto che sembra una cosa che esiste da tanto tempo. Eravamo anche amici. Ci conoscevamo, però non avevamo questo tipo di rapporto. È nato all'interno del set. È nato dal personaggio. Poi l'abbiamo trasportato nella vita reale per quello che possiamo, per quello che siamo.
La serie si conclude con un finale che potrebbe essere anche l'inizio di una seconda stagione. Avete già parlato della possibile continuazione della serie?
Alessandro Scirea: Si può dire che c'è un work in progress...
La serie è molto curata per quanto riguarda la costruzione del mondo in cui si svolge e dell'atmosfera, avete dato qualche suggerimento o contributo?
Alessandro Scirea: Oltre alla parte attoriale del mio personaggio, ho curato tutta la parte estetica di styling di tutti i personaggi. Quindi sono andato a fare un lavoro e leggendo la sceneggiatura confrontandomi con Namas e Roberto Chierici, il direttore della fotografia, ho compiuto un lavoro di creazione di personalità del personaggio, dal capello fino al calzino... andando a caratterizzarli molto. Il lavoro che è stato fatto si ispirava a un tempo più vintage, attingendo a vari stili di varie epoche. Quindi comunque, in un certo modo, abbiamo anche collaborato a questa parte "visiva" che sostiene tutto.
Hai avuto dei punti di riferimento specifici, cinematografici o televisivi, durante questo lavoro sui personaggi?
Alessandro Scirea: Io amo molto nel cinema quando viene decontestualizzato il tempo storico. Magari ritroviamo in un tempo presente, come all'interno della serie, ma tutto quello che lo crea intorno ai quattro protagonisti è discostato cronologicamente. Quindi sì, mi sono ispirato ai film degli anni Novanta, Ottanta, e anche magari a serie odierne che fanno un po' questo ragionamento. E da lì in poi è stato creato tutto questo "trip", anche se magari puoi notare il tipo di flash back, dove viene rappresentato il dottore da giovane con il commissario, in quel momento diventa tutto un po' più noir, sia musicalmente che a livello di immagine che a livello di vestizione dei personaggi, creando un mondo completamente a sé, distaccato da quello che è, dal mondo che viviamo, però rimane allo stesso tempo reale.
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La parola alle protagoniste, tra divertimento sul set e approccio al genere thriller-horror
I vostri personaggi hanno molte sfaccettature e caratteristiche specifiche. Come avete lavorato sulla costruzione dei personaggi? Avete cambiato qualcosa rispetto alla sceneggiatura originale?
Marta Rizzioli: Non ci sono stati cambiamenti. Non ne abbiamo chiesti. Abbiamo accettato la sfida, ci siamo lanciate. Siamo stati aiutate da un acting coach e abbiamo cercato il legame tra il mio personaggio, quello di Letizia e gli altri personaggi. Senza entrare nei dettagli, per evitare spoiler, c'è una prima parte e una seconda parte. Quindi è come se il nostro personaggio fosse diviso in due momenti. In tutta la prima parte noi in realtà siamo consapevoli di quello che poi verrà dopo.
Letizia Liccati: Essendo state aiutate da un acting coach, ci ha fatto scoprire anche lati di noi stesse che potevamo dare al nostro personaggio.
Le due parti della storia sono molto diverse considerando la situazione dei vostri personaggi, avete girato in modo cronologico le scene?
Marta Rizzioli: No, avevamo delle difficoltà, insomma, eravamo in pandemia, durante il lockdown c'era il coprifuoco...
Letizia Liccati: Dovevamo dovevamo adeguarci a quello che succedeva durante tutto questo...
Marta Rizzioli: E giravamo in base alle alle location, a cosa era disponibile. Io penso di aver girato una delle ultime scene forse come prima. Conoscendo la storia e arrivando sul set consapevoli di quello che sarebbe successo è stato fattibile.
La serie è ricca di tensione e momenti dark, come era invece l'atmosfera sul set? Siete riusciti a mantenere una maggiore leggerezza?
Marta Rizzioli: Devo dire che per me in alcuni momenti è stato molto divertente.
Letizia Liccati: Lo è stato. Tante volte Namas, poverino, ci metteva un po' a ricreare l'ordine, il mood... era divertente. C'era un clima stupendo. Praticamente eravamo in famiglia sia con il cast artistico sia con il cast tecnico. Si è creata veramente una famiglia.
Marta Rizzioli: Anche perché un conto è girare determinate scene. Un conto è viverle, quindi come spettatore hai una percezione, ma noi eravamo lì ci siamo divertite.
Ci sono stati dei momenti improvvisati?
Letizia Liccati: Non che coinvolgono il mio personaggio, ma nella serie ci sono dialoghi che non erano nella sceneggiatura, proprio per dare naturalezza tra di noi.
Avete contribuito in qualche modo alla creazione del look e della personalità del vostro personaggio?
Letizia Liccati: Brianna è molto me, ho portato molto di me dentro di lei, sia a livello estetico sia a livello personale per tante scene che si vedono e per la storia che viene raccontata, sempre dividendo in due.
Marta Rizzioli: Io mi sono totalmente affidata ad Ale che ha curato gli abiti, i costumi... io sono molto diversa dal personaggio.
Prima di iniziare le riprese avete visto film o serie dello stesso genere per ispirarvi e arrivare pronte sul set?
Marta Rizzioli: Io nulla, non amo nemmeno il genere. Ho usato molto l'immaginazione e in alcune scene mi sono lasciata trasportare dal luogo, da come venivamo dirette, dalla luce... ho usato molto l'immaginazione perché non amo spaventarmi, soprattutto l'horror, il thriller sì ma non l'orrore...
Letizia Liccati: Io invece sono superfan del genere! Ero "preparata", non ho guardato nulla prima, ma probabilmente sono stata influenzata da qualcosa senza nemmeno saperla perché sono attirata dal genere...
Dopo questa esperienza che vi ha avvicinati molto, avete già parlato di futuri progetti da realizzare insieme?
Marta Rizzioli: Si tratta di un work in progress, ci sono delle idee e per ora non sveliamo niente, ma ne abbiamo parlato!